Statali, aumenti in parte anche sotto forma di sgravi fiscali. Zangrillo: «Ho le garanzie del Mef, in Manovra fondi per i rinnovi»​

Il ministro: «Per coprire tutta l’inflazione 2022-24 servirebbero 30 miliardi, non possiamo scassare i conti. Una parte del recupero passerà per le misure fiscali»

Statali, aumenti in parte anche sotto forma di sgravi fiscali. Zangrillo: Ho le garanzie del Mef, in Manovra i fondi per i rinnovi»
di Luca Cifoni
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Domenica 6 Agosto 2023, 00:39 - Ultimo aggiornamento: 09:13

Ministro Zangrillo, l’inflazione morde anche le retribuzioni dei dipendenti pubblici. Si stanno chiudendo i contratti 2019-2021 ma ora servono le risorse per il triennio successivo.
«Io per prima cosa mi sono preoccupato di completare i rinnovi 2019-2021 visto che, quando sono arrivato al ministero, 2,4 milioni di lavoratori aspettavano ancora. Ora mancano solo i dirigenti medici e degli enti locali, ma auspico che per questo settore strategico si possa chiudere a breve».


Va bene, ma intanto ha parlato con Giorgetti per il finanziamento della nuova tornata?
«Sono stato al ministero dell’Economia in vista della messa a punto della Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza.

Ho rappresentato il fatto che è già passato un anno e mezzo del prossimo triennio contrattuale. Ho trovato il ministro sensibile all’argomento. Senza fare cifre, abbiamo convenuto che il tema sarà una delle priorità della legge di Bilancio. Però è chiaro che non tutto il recupero dell’inflazione potrà avvenire con il contratto. Se sommiamo l’incremento dell’indice Ipca atteso tra il 2022 e il 2024 arriviamo al 15-16 per cento. Servirebbero più di 30 miliardi, è irrealistico pensare di trovarli. Non possiamo scassare i conti dello Stato. Quindi una parte del beneficio ai lavoratori arriverà anche dalle misure fiscali che riguardano tutti i contribuenti».


Il governo rimodula il Pnrr: cosa cambia per i progetti di digitalizzazione della Pa?
«Non cambia niente, siamo in linea su tutti gli obiettivi del 2023. Anzi, per quanto riguarda le semplificazioni delle procedure dobbiamo realizzarne 200 entro il 2024 ma io ho chiesto di anticipare questo traguardo alla fine di quest’anno. A settembre ne annunceremo un nuovo pacchetto, in aggiunta alla settantina che abbiamo presentato nei mesi scorsi: riguardano diversi settori, tra cui artigianato, commercio e turismo. L’obiettivo è sempre costruire un rapporto semplice con cittadini e imprese. E per fare questo serve anche la formazione delle persone. Per questo abbiamo rivisto le procedure per i concorsi con il portale InPa: sono previsti 170 mila inserimenti l’anno nel 2023-2024, tra gennaio e giugno ne sono stati fatti 104 mila».

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Lei si occupa soprattutto di lavoro pubblico. Ma come valuta le tensioni che si sono create sul reddito di cittadinanza?
«Conosco bene la vicenda, quando è stato istituito ero componente della commissione Lavoro della Camera e ho seguito da vicino tutto l’iter. Si tratta di un tema molto serio, che va sottratto alla speculazione politica. Cinque anni di applicazione ci hanno dimostrato che era un provvedimento mal concepito, che non ha raggiunto i suoi obiettivi. Il reddito di cittadinanza doveva dare supporto alle persone in povertà e qualificarle per l’inserimento nel mondo del lavoro. Mi pare evidente che questo non sia successo».


Sicuramente le politiche attive non hanno funzionato, ma il reddito è stato un argine contro la povertà.
«Ma il centrodestra non ha certo intenzione di dimenticare chi è in stato di bisogno. A queste persone occorre dare risposte concrete ed è quello che stiamo facendo. L’opposizione che ora protesta ha avuto cinque anni per migliorare le politiche attive, per ristrutturare i centri per l’impiego. Invece non è stato fatto nulla. D’altra parte, erano sotto gli occhi di tutti le difficoltà delle imprese nel reclutare personale, che per certe posizioni dipendevano anche dal reddito di cittadinanza. E va ricordato che il meccanismo favoriva le truffe».

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Se la nuova impostazione è separare i bisognosi da chi può lavorare, non è un po’ approssimativo il criterio per cui lavora chi non ha figli o ultrasessantenni nel nucleo familiare, e gli altri no?
«I criteri ci consentono di individuare i nuclei in difficoltà. Nessun criterio è perfetto, ma se c’è un nucleo con minori in cui un componente è abile al lavoro, questo potrà comunque presentarsi al centro per l’impiego. Come diceva lei, ora si cambia appunto impostazione. Dal mese di settembre scatta un sussidio, il supporto per la formazione e il lavoro, che risponde proprio alla logica di dare un contributo durante il percorso di reskilling. Oggi nel Paese abbiamo ancora un tasso di disoccupazione intorno al 7% e 800-900 mila figure professionali che non si trovano. E non sono tutte figure ad alta qualificazione: basta pensare a quei lavori stagionali che non richiedono competenze particolari. L’essenziale è avviare il processo che permette l’inserimento di una persona nel mercato del lavoro».


Altro tema di attualità è il salario minimo. Anche lei pensa che non sia compatibile con il modello della contrattazione?
«Intanto dobbiamo ricordare che la discussione si è sviluppata due anni fa a valle della direttiva europea in materia. Che però io credo non tutti abbiano letto: quel documento non chiede la definizione per legge di un salario minimo, bensì esorta la diffusione della contrattazione collettiva. Nel caso dell’Italia, in cui questo strumento copre tutti i settori, la nostra storia ci suggerisce di lasciare alle parti il compito di definire i livelli retributivi. Poi è vero che ci sono due o tre milioni di contratti poveri, ma allora c’è da affrontare piuttosto il tema della rappresentanza sindacale. In ogni caso non sfuggiamo al dialogo e il tema sarà discusso in Parlamento a settembre. Io credo che la contrattazione collettiva vada ulteriormente rafforzata e il mio partito, Forza Italia, ha presentato una proposta che va in questa direzione».

 

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