Pnrr, per Roma beffa nei fondi: pochi interventi per la Capitale. La disparità tra le città

La distribuzione delle risorse non tiene conto delle specificità dei diversi territori

Beffa nei fondi del Pnrr: pochi interventi per Roma. La disparità tra le città
di Gianfranco Viesti
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Martedì 12 Luglio 2022, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 12:08

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza svolgerà nei prossimi anni una funzione di fondamentale importanza: da un lato dovrà contrastare, attraverso la spesa per investimenti pubblici, le nerissime nubi che si stanno addensando sull’economia italiana a causa della situazione internazionale; dall’altro dovrà avviare, dopo la lunga stasi dovuta al lungo periodo dell’austerità, un processo di trasformazione del paese. Non sarà né facile né automatico raggiungere questi risultati: il Pnrr è grande e complesso e la sua attuazione è soggetta alla qualità delle scelte discrezionali che i Ministeri stanno prendendo e alle capacità realizzative, soprattutto in sede locale. In questa fase, nella quale si stanno prendendo decisioni importanti per trasformare le sue linee generali in veri progetti è opportuna la massima trasparenza su ciò che si va facendo, la disponibilità di dati aggiornati, una discussione sui possibili effetti delle scelte in corso.

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Lo studio “Le città italiane e il Pnrr”, presentato su questo giornale e disponibile per tutti sul sito dell’Associazione Urbanit, ha proprio questi obiettivi.

Attraverso un’analisi dettagliata, non semplice, di 11 grandi misure del Piano, esso mostra le tipologie e l’allocazione territoriale di investimenti per oltre 20 miliardi nelle città capoluogo di provincia del nostro paese. Che cosa ne emerge? Innanzitutto proprio l’importanza di studi d’insieme: l’attuazione del Piano procede misura per misura, attraverso decisioni discrezionali dei singoli Ministeri su criteri e modalità di scelta dei progetti da finanziare, apparentemente senza una regia d’insieme che ne monitori e controlli i possibili impatti. E quindi l’importanza della circolazione delle informazioni, finora assai carente in sede ufficiale, in modo che i cittadini, i sindaci, le forze economiche e sociali, le forze politiche, possano conoscere ciò che sta accadendo. Per diverse delle misure analizzate sono state prese decisioni che determinano flussi imponenti di denaro pubblico, anche discutibili, come nel caso dello scorrimento della graduatoria dei progetti di rigenerazione urbana a vantaggio dei Comuni a bassa vulnerabilità sociale, senza alcun confronto. È bene conoscerle e discuterne pubblicamente.

LO STUDIO

In concreto, lo studio mostra disparità fra le città italiane. Il Piano non contiene criteri politici per l’allocazione delle sue risorse: non vi si fa mai riferimento alle diverse situazioni locali, ad esempio in termini di beni pubblici, come criterio allocativo, di scelta su dove concentrare le risorse. Quindi non assicura affatto che tendenzialmente maggiori investimenti siano destinati alle città relativamente più deboli del paese, in modo da rafforzarne complessivamente l’armatura. E infatti non emerge alcuna relazione, studiando ciò che si è fatto, fra il benessere delle città e la dimensione degli investimenti promossi da Piano. La loro allocazione dipende in parte rilevante da scelte a monte, sempre in sede ministeriale; in parte dall’esito dei bandi a cui le amministrazioni locali sono state chiamate nei mesi scorsi a concorrere. Ne scaturisce una geografia dei beneficiari molto articolata: con poche città con tanti investimenti e molte con pochi.

Emerge ad esempio un preoccupante sottodimensionamento (finora) degli interventi a Roma, nonostante le misure ad essa espressamente dedicate; e a Napoli, specie nei comuni dell’area metropolitana. Come si può rilanciare davvero il paese senza potenziare queste due, complesse e per molti versi sofferenti, grandi città? Diverse aree urbane del Nord e del Centro-Sud ricevono ben poche risorse: se nel primo caso diverse sono città relativamente forti, come le emiliane, nel secondo gruppo troviamo realtà come Pistoia, Grosseto, Latina, Terni, Pescara, Foggia, Lecce, Matera, Sassari e soprattutto importanti centri di Calabria e Sicilia dove l’impatto del Piano potrebbe essere molto modesto.

Che cosa si può fare? Le scelte finora prese sono un dato di fatto; pare difficile, vista la mancanza di reazione di molti Ministeri a critiche e proposte, discutere e condizionare quelle in corso. Tuttavia è fondamentale avere un quadro d’insieme e valutarlo pubblicamente: in modo che ad esempio i Ministeri più sensibili, come potrebbe essere il Mims (Ministero Infrastrutture e Mobilità sostenibile), e le stesse Regioni possano operare per destinare altre risorse, stanziamenti di bilancio e soprattutto i fondi nazionali ed europei per la coesione, per livellare maggiormente il quadro. Il Piano deve migliorare la situazione di tutti gli Italiani, ovunque essi vivano, o altrimenti fallirà nei propri obiettivi.

I RISCHI

Poi, si tratterà di realizzare le opere e farne scaturire miglioramenti tangibili nelle nostre città. Le amministrazioni comunali, specie al Sud ed in misura drammatica in alcune delle sue regioni, ma anche in molte realtà del Centro e del Nord più periferico, sono indebolite, sguarnite delle competenze necessarie.
Potremmo accorgerci nel giro di un paio di anni di significativi ritardi sulla strettissima tabella di marcia. Il Piano non aveva previsto alcun intervento di potenziamento delle amministrazioni locali, con una scelta assai sorprendente, discutibile e pericolosa per la sua stessa realizzazione; nell’ultimo anno il Governo ha preso molte iniziative di sostegno, utili ma ancora insufficienti. È opportuno insistere. Immaginare, magari di concerto con l’Associazione dei Comuni (Anci) e con l’ausilio della Cassa Depositi e Prestiti, vere e proprie missioni permanenti di esperti per i prossimi tre anni, specie nelle realtà, individuate nello studio, dove a tanti progetti di investimento può corrispondere una modesta capacità attuativa. Il Piano può fare molto: ma realizzarlo davvero non è affatto una passeggiata, come ben sappiamo. Più informazione e discussione pubblica ci sarà, più aperto sarà l’atteggiamento del Governo a critiche e proposte, più cresceranno le possibilità di successo.
 

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