L'ex Ilva riparte dall'acciaio green e cambia nome: ecco il piano di Invitalia

L'ex Ilva riparte dall'acciaio green e cambia nome: ecco il piano di Invitalia
di Rosario Dimito
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Domenica 13 Dicembre 2020, 09:35

ROMA Torna l'acciaio di Stato, ma in tempi di rivoluzione verde è necessario cambiare il look. Nel contratto di co-investimento, siglato nella tarda serata di giovedì 10 tra ArcelorMittal e Invitalia, è previsto che in occasione del rimpasto azionario in ArcelorMittal Italia Holding srl, la società che tramite Ami gestirà Taranto in affitto e poi in proprietà, l'assemblea dovrà deliberare oltre alla ricapitalizzazione anche il cambio della ragione sociale.

Questo perché l'agenzia pubblica dello sviluppo economico intende dare già dal nome il segno della discontinuità rispetto al passato.

Intanto nei prossimi giorni i legali della parti - studio Irti per Invitalia, studio Cleary Gottlieb per il gruppo lussemburghese - invieranno una pre-notifica a Bruxelles sull'assenza di concentrazione a seguito dell'alleanza.


La svolta per l'ex Ilva è fissata a gennaio. Entro il 20 si dovrà perfezionare la partnership pubblico-privata con il primo aumento di capitale riservato ad Invitalia: fino a 400 milioni per sottoscrivere il 50% dei diritti di voto del veicolo cui dovrà essere ritagliato il nuovo nome. Ne starebbero discutendo il team di Domenico Arcuri, numero uno di Invitalia, il Mise e il Mef. Manca ancora la convergenza su una proposta che Arcelor dovrà necessariamente condividere, ma la nuova ragione sociale deve contenere la parola green per esaltare il ruolo del forno elettrico.

Esso, dal 2023 potrà funzionare con il pre-ridotto per entrare a regime due anni dopo assicurando 2,6 milioni di tonnellate di produzione a fronte degli 8 milioni totali previsti. E' il governo a volere questa scommessa perchè il pre-ridotto è la capacità di produrre acciaio di qualità con un ciclo integralmente verde sia per il forno elettrico che in prospettiva per gli altiforni.


La scommessa pre-ridotto


Si tratta di una modalità che brucia gas al posto del carbone, in futuro da miscelare con l'idrogeno in una filiera non inquinante. Il gas è costoso ma la presenza di un azionista pubblico può rendere possibile il coinvolgimento di Eni e Snam, utilizzando il piano europeo green: tutto questo può portare a 4 milioni di tonnellate fra cinque anni, di cui 1,4 milioni da destinare al mercato italiano. Ma se questo processo dovesse decollare, consentirebbe obiettivi più ambiziosi di de-carbonizzazione per Taranto.


Tornando al nome, un'ipotesi che circola sarebbe Siderurgia green italiana, declinato anche in Acciaio green italiano. Prematuro dire come andrà a finire e comunque attorno a queste esercitazioni verrà trovato il brand: ovviamente sono esclusi Italsider e Ilva perché sarebbe un anticipato tuffo nel passato che nessuno vuole.


La partnership azionaria paritetica si rispecchierà anche nella governance: cda di 6 membri, tre a testa, con presidente e ad che dovranno essere di reciproco gradimento: il primo indicato dallo Stato, il capo azienda dal socio industriale. E mentre sul nome del presidente qualunque ipotesi è prematura perché serve l'imprimatur dei ministri economici, per l'ad ArcelorMittal punterebbe sulla conferma di Lucia Morselli. Sul gradimento di questo nome sarebbero già stati avviati sondaggi presso Palazzo Chigi e i due ministeri economici.


Tornando alla tabella di marcia delineata nel contratto il cui closing è previsto prima di Natale, verso maggio 2022 è fissato l'altro passaggio chiave: la ricapitalizzazione fino a 750 milioni suddivisa in due tranche. La prima fino a 680 riservata a Invitalia, l'altra di 70 milioni al partner internazionale. La scadenza di maggio nasce dalla previsione del dissequestro degli impianti di Taranto dove la Procura comunque ha assegnato la facoltà d'uso ad Ami, controllata da ArcelorMittal Holding. A valle si delineerà il nuovo assetto azionario dove la società pubblica salirà al 60% mentre Arcelor manterrà il 40%.

Con lo Stato in maggioranza cambieranno naturalmente i rapporti di forza nella governance dove però il contratto di co-investimento regola un processo decisionale all'insegna dell'unanimità. Sia nei 17 mesi dell'alleanza paritetica, sia dalla primavera del 2022 in poi, gli accordi assicurano una gestione senza colpi di mano o maggioranze. E se dovessero sorgere divergenze, si rinvierebbero le decisioni fino a che non sarà stato trovato il punto di equilibrio: dunque, niente ipotesi di stallo.

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