Extra-profitti, si tratta: deducibilità verso il no e piccole banche salve

Mediazione tra Meloni e Tajani: sarà chiarito il carattere una tantum. Sulle accise della benzina la linea non cambia: niente passi indietro

Extra-profitti, si tratta: deducibilità verso il no e piccole banche salve
di Francesco Bechis
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Domenica 20 Agosto 2023, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 12:36

Si tratterà fino all’ultimo. Ma senza giravolte, tantomeno inversioni a "u". Giorgia Meloni tirerà dritto sulla tassa agli extra-profitti delle banche. Sull’imposta agli istituti di credito introdotta a sorpresa nell’ultimo Consiglio dei ministri prima di Ferragosto la premier italiana ha messo la firma. E non intende sbianchettarla cedendo alle pressioni interne alla maggioranza, nonché delle associazioni di categoria in attesa di un cenno da Palazzo Chigi

LA TRATTATIVA

Con Antonio Tajani, leader di Forza Italia rimasto scottato dal metodo scelto per il blitz in Cdm - all’annuncio della tassa, del tutto inatteso, il vicepremier azzurro non era presente - c’è stato più di un chiarimento, dal vivo e poi al telefono. Sul metodo: niente più colpi di scena, ha promesso Meloni, in caso di simili interventi su altri settori. E sul merito: il decreto, ha fatto capire la leader di Fratelli d’Italia, si potrà ritoccare qui e lì in Parlamento, da settembre. A patto però di non snaturarlo. 
Si fa più in salita la strada per rendere interamente deducibile la tassa agli istituti, ipotesi espressamente esclusa dal testo licenziato insieme al Mef di Giancarlo Giorgetti. È una richiesta esplicita di Forza Italia, è in cima ai desiderata delle banche come hanno fatto sapere al governo anche nei giorni di Ferragosto i pontieri dei banchieri italiani. Ma ha un costo alto. Troppo, ragionano dalle parti di Palazzo Chigi sfogliando un report di Unimpresa: consentire alle banche di dedurre la tassa dall’imponibile, ovvero dal reddito cui si applicano le aliquote del prelievo fiscale, vorrebbe dire ridurre il gettito totale a 1,3-1,5 miliardi.

Un miliardo (ma in realtà anche di più) in meno rispetto a quelli inizialmente stimati dal Mef. Molto rumore per nulla, o quasi. Va detto che nella relazione tecnica del decreto sulle tasse il ministero di via XX settembre ha scelto infine di non stimare l’esborso delle banche. Ma la sostanza non cambia: in Fratelli d’Italia, che sulla tagliola ai “margini ingiusti” ha messo la faccia, cresce la convinzione che una retromarcia così decisa sulla tassa possa trasformarsi in un boomerang politico, dopo tanti annunci. 

Dei dettagli si discuterà più in là, a partire da settembre. Palla al Parlamento, e alla Commissione finanze del Senato dove il decreto è incardinato. In attesa di ricevere il parere non vincolante richiesto dal Mef alla Banca centrale europea - è ritenuta probabile una stroncatura da parte di Francoforte - si delineano comunque diverse posizioni in maggioranza. A metà si staglia la Lega: in pubblico il leader Matteo Salvini insieme ai suoi cavalca la tassa sulle banche, ritenuta una misura “popolare”. Dietro le quinte però nel Carroccio c’è chi propone una via mediana: rendere deducibile la tassa del 30-40 per cento. Si vedrà. Da parte sua, Tajani ha in ogni caso raccolto aperture su alcune delle richieste avanzate da FI al governo e pronte a confluire in un pacchetto di emendamenti al decreto-banche. Fra queste, la scelta di scrivere nero su bianco nel testo che l’imposta sarà una tantum. O ancora, la possibilità di escludere dalla tassa gli istituti di minori dimensioni, “le banche di prossimità”, e quelli che «non sono sotto il controllo della Bce». 
Limature possibili. Sulle trattative agostane però pende una spada di Damocle. È la manovra bis del governo Meloni, la caccia ai fondi, tra i 25 e i 30 miliardi di euro, per finanziare almeno alcune delle misure-bandiera promesse dal centrodestra, dalla stabilizzazione del taglio del cuneo fiscale alle pensioni minime a 600 euro. 

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I CONTI

Neanche a dirlo, la coperta è corta. Lo ha detto eccome Giorgetti incontrando i ministri alla vigilia delle vacanze: occhio alle liste della spesa per la legge di bilancio. Spazio per tutto non c’è. Si spiega anche così il silenzio di Palazzo Chigi su un altro dossier che ha inseguito Meloni nel suo ultimo scampolo di vacanze: il caro-carburanti e il coro trasversale che chiede al governo di tagliare le accise. Un dossier che preoccupa il cerchio della premier perché impatta sull’opinione pubblica e per questo è «seguito da vicino». 

Qui si fermano per ora le iniziative. Come ribadito a più riprese dal ministro delle Imprese Adolfo Urso, toccare le accise significa aprire un buco nel bilancio alla vigilia della tiratissima manovra d’autunno. Quanto? Circa un miliardo di euro in meno, fanno i conti i tecnici del Mef. Passerà la tempesta dei prezzi alla pompa, questa almeno è la speranza. Ma i conti in casa, Meloni è la prima a saperlo, presto andranno fatti. 

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