Digitalizzazione, quel gap da recuperare che può spinger il Pil. Pesano i pochi laureati e gli investimenti insufficienti

Anticipiamo il rapporto che sarà presentato al Digital Italy Summit

Digitalizzazione, quel gap da recuperare che può spinger il Pil. Pesano i pochi laureati e gli investimenti insufficienti
di LUCA CIFONI
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Mercoledì 1 Novembre 2023, 15:42 - Ultimo aggiornamento: 2 Novembre, 08:12

La cattiva notizia, forse prevedibile, è che l’Italia è ancora indietro sul fronte cruciale della digitalizzazione.

Quella buona, almeno in prospettiva, è che siamo invece ben posizionati in alcuni particolari settori tecnologici: partendo da questi relativi punti di forza il nostro Paese potrebbe provare a recuperare e forse addirittura usare il digitale come volano per il resto dell’economia. Ma da fare c’è ancora tantissimo: se ne parlerà a Roma a metà di questo mese (dal 14 al 16) nel Digital Italy Summit organizzato da The Innovation Group (Tig), con la presenza di governo, imprese e mondo della ricerca. Anticipando alcuni contenuti del Rapporto che sarà presentato in quella occasione, proviamo a disegnare una mappa della situazione e i possibili percorsi verso il futuro. Come emerge dal contributo sullo scenario macro-economico, realizzato dal capo economista di Intesa Sanpaolo Gregorio De Felice, l’Italia si trova al diciottesimo posto dell’indice internazionale Desi 2022 (Digital economy and society index). Un posizionamento che risulta più basso rispetto alla media europea. I fattori che ci penalizzano sono soprattutto quelli legati alle competenze: come è purtroppo ben noto la quota di persone che hanno un livello di educazione terziaria (quindi di tipo universitario) sul totale della forza lavoro è inferiore di circa sei punti rispetto agli altri Paesi dell’Unione. Ed è vistosamente più bassa anche la percentuale degli occupati in ambito scientifico-tecnologico, rispetto al totale. Nonostante questa base di partenza sfavorevole dal lato del capitale umano, l’economia tricolore riesce ad avvantaggiarsi di una buona integrazione delle tecnologie digitali nei processi produttivi.

L’ANALISI

 Nei processi aziendali hanno raggiunto un buon livello lo scambio di informazioni elettroniche e l’utilizzo dei Big data e dei servizi in cloud. Giocano un ruolo importante anche il commercio online e la fatturazione elettronica, ormai ampiamente diffusa non solo nei rapporti con la pubblica amministrazione ma anche in quelli tra privati. Anche alcune indagini realizzate dalla stessa Intesa Sanpaolo vanno nella stessa direzione: il tessuto produttivo italiano riesce spesso ad adattarsi bene alla trasformazione tecnologica. Non solo le grandi imprese, che come si sa da noi non sono tante. Anche concentrandosi sulle piccole, già lo scorso anno la metà aveva adottato almeno una tecnologia 4.0. Nell’industria le preferite sono robotica, magazzini automatizzati, stampa 3D e cloud computing, mentre nei servizi prevalgono Intelligenza artificiale, Big data e Internet of things. Lo scenario è però un po’ meno favorevole se si parla di cybersecurity. Nonostante questi buoni elementi qualitativi, lo scenario complessivo resta insoddisfacente se si guarda all’incidenza degli investimenti digitali sul Pil: arriviamo al 4,3 per cento mentre l’Europa è 5,5. Insomma uno scenario con luci e ombre. In un altro contributo all’interno dello stesso capitolo del Rapporto, curato in particolare da Arianna Perri di Tig, vengono esplorate le dinamiche del mercato digitale, che nel nostro Paese rappresenta una quota relativamente piccola del Pil. Di nuovo, il fattore che esprime la nostra debolezza sono gli investimenti: tradizionalmente in Italia vengono preferiti quelli tangibili a quelli intangibili, ovvero di tipo immateriale. Tuttavia la stima di crescita del mercato digitale per quest’anno e il prossimo evidenzia un andamento un po’ più brillante di quello dell’economia nel suo complesso, a conferma che i margini di recupero esistono. L’incremento dovrebbe aggirarsi per entrambi gli anni intorno al 2,5 per cento, con un profilo leggermente decrescente, a fronte di una dinamica del prodotto interno lordo poco al di sopra dell’1 per cento (quest’ultima previsione in particolare è precedente alle ultimissime tensioni geopolitiche, che potrebbero condizionare il quadro in senso negativo). La funzione “anticiclica” del digitale era stata sperimentata nel biennio 2020-2021, in un contesto condizionato dalla pandemia, e nei prossimi anni potrebbe attenuarsi, anche se non del tutto. Molto dipenderà anche dalla capacità della politica economica di ottenere risultati nel medio periodo. E qui entra naturalmente in gioco il Piano nazionale di ripresa e resilienza, che alla transizione digitale dedica decine di miliardi (circa 48 originariamente, includendo anche il Piano complementare finanziato con risorse nazionali). I rischi sono legati alla concreta capacità di realizzazione dei progetti, ma prima ancora anche al possibile definanziamento di alcune iniziative. Guardando più nel dettaglio i vari segmenti, l’analisi si concentra poi su quelli in grado di guidare l’intero mercato e per questo motivo vengono definiti new digital drivers. Il più promettente resta l’intelligenza artificiale, che già negli anni scorsi ha avuto tassi di crescita superiori al 30 per cento.

Il blockchain (la tecnologia che sfrutta le transazioni decentralizzate) ha avuto un andamento abbastanza simile, ma quantitativamente è ancora una realtà tutto sommato marginale. I servizi cloud invece, pur avendo sperimentato un ritmo di sviluppo meno sostenuto, continueranno a collocarsi in una fase ascendente. La cybersecurity ha una portata trasversale ed è anch’essa in crescita, pur se meno vivace. L’Internet of things (le connessioni che mettono in rete oggetti come quelli che si trovano nelle case) si presenta stabile nel tempo, mentre lo specifico segmento dei dispositivi “indossabili” ultimamente ha rallentato.

IL RUOLO CATALIZZATORE

«La trasformazione digitale non è più semplicemente un’opzione, ma una necessità fondamentale per garantire la competitività e il posizionamento strategico di un Paese nel panorama globale in continua evoluzione» osserva Roberto Masiero, fondatore e presidente di The Innovation Group. In questa ottica «l’attenzione e gli investimenti dedicati alla transizione digitale rappresentano una testimonianza tangibile dell’impegno dell’Europa nel promuovere una crescita economica sostenibile e una maggiore innovazione, aprendo così la strada a opportunità senza precedenti per lo sviluppo e il progresso socioeconomico». Masiero condivide l’idea che il mercato digitale possa svolgere un ruolo di traino rispetto al resto dell’economia: «Può essere definito un vero e proprio catalizzatore, specialmente nell’attuale contesto macroeconomico in cui la trasformazione digitale ha assunto una rilevanza sempre maggiore. Più nello specifico «le tecnologie digitali hanno dimostrato di poter incrementare la produttività, migliorare l’efficienza operativa e stimolare l’innovazione, generando così un impatto significativo sull’intero sistema economico, ottimizzando processi e servizi, favorendo una maggiore competitività e un aumento della domanda di prodotti e servizi digitali». La leva da muovere è proprio quella degli investimenti: «Quelli mirati consentono la modernizzazione delle infrastrutture digitali, l’implementazione di strategie di formazione digitale e l’adozione di tecnologie all’avanguardia, tutti fattori che contribuiscono a potenziare la competitività del Paese».

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