Pensione a 67 anni, ecco la platea. In 80 mila dovranno rinviare l’uscita

Pensione a 67 anni, ecco la platea. In 80 mila dovranno rinviare l’uscita
di Luca Cifoni
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Mercoledì 25 Ottobre 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 16 Novembre, 10:23

Cinque mesi in più al lavoro, anche se proprio non del tutto imprevisti. La legge che lega la data della pensione all’evoluzione dell’aspettativa di vita è stata votata nel 2010 e poi confermata e perfezionata con la riforma Fornero dell’anno successivo. L’adeguamento dei requisiti era già stato applicato due volte, nel 2013 (3 mesi fissati in anticipo, anche se i dati demografici avrebbero detto 5) e nel 2016 (4 mesi). Che nel 2019 ci sarebbe stato uno ulteriore scatto in avanti era noto a lavoratori e datori di lavoro; si trattava di sapere di quanto. I cinque mesi ufficializzati ieri dall’Istat impressionano forse di più rispetto al passato, un po’ perché per la vecchiaia portano all’età tonda di 67 anni, un po’ perché l’inversione di tendenza della speranza di vita nel solo anno 2015 aveva fatto immaginare un passaggio meno brusco.

I FLUSSI
Proprio nel caso della vecchiaia è possibile individuare con relativa precisione almeno le caratteristiche anagrafiche di coloro che dovranno prolungare la permanenza al lavoro. Viene praticamente tagliata in due la classe 1952, che già era stata quella più colpita dalla drastica riforma entrata in vigore nel 2012. Chi è nato entro il mese di maggio compirà i 66 anni e 7 mesi richiesti dalle regole attuale entro dicembre 2018, e quindi potrà uscire al più tardi il primo gennaio successivo. Invece i nati da giugno in poi maturerebbero questo requisito nel nuovo anno, 2019, ricadendo così nella più severa condizione dei 67 anni che potranno compiere appunto a partire dal mese di giugno: la prima uscita possibile sarà per loro a luglio, sei mesi dopo i loro quasi-coetanei.
Per quanto riguarda invece la pensione anticipata il panorama è più variegato perché saranno bloccati coloro che - a prescindere dall’età - non faranno i tempo a maturare i previsti 42 anni e 10 mesi di contributi (se uomini) o 41 e 10 mesi (per le lavoratrici). Ugualmente però andranno messi in conto cinque mesi di lavoro in più, a un’età più bassa di 67 anni ma avendo iniziato a lavorare in età piuttosto giovane.

Quanto è grande la platea coinvolta? In assenza di cifre certe, per avere un’idea indicativa si può fare riferimento al monitoraggio dei flussi di pensionamento realizzato regolarmente dall’Inps. Nel primo semestre del 2015 le nuove pensioni di vecchiaia e anticipate liquidate dall’istituto erano state circa 140 mila, cifra del tutto analoga a quella del 2017. In mezzo, nel 2016, c’era stato un brusco calo a poco più di 80 mila nuovi trattamenti, in concomitanza del “gradino” di quattro mesi scattato nel 2016. Applicando in proporzione questo scarto di quasi 60 mila unità al blocco più incisivo del 2019 (cinque mesi) e aggiungendo alcune migliaia di lavoratori pubblici e di altre categorie si arriverebbe ad almeno 80 mila pensioni in meno nel semestre, che poi naturalmente scatterebbero nei mesi successivi.

LA CREDIBILITÀ
Quel che è certo è che il mancato adeguamento all’aspettativa di vita porterebbe seri problemi ai conti previdenziali del Paese: non tanto per il solo 2019 ma in prospettiva, se il meccanismo fosse del tutto cancellato. Il presidente dell’Inps Boeri, senza fornire ulteriori dettagli, ha quantificato tutto ciò in una maggiore spesa cumulata di 141 miliardi da qui al 2040. Ma il governo teme oltre all’impatto finanziario anche il contraccolpo in termini di credibilità che ci sarebbe a livello internazionale anche con la sola messa in discussione del parametro demografico, dopo che l’Italia negli anni ha presentato il proprio riassetto della previdenza come garanzia di sostenibilità nel lungo periodo delle finanze pubbliche.

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