Ilva, i dubbi di Mittal sull’acquisto

di Oscar Giannino
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Domenica 24 Dicembre 2017, 00:10
«La Repubblica Italiana mi ha addestrato a resistere». Sembrerebbero le parole di un paracadutista della Folgore, e invece le ha pronunciate il presidente della Puglia, Michele Emiliano. 
Che ieri ha pensato bene di lanciare un’altra bordata ad alzo zero contro il governo [/FORZA-RIENTR]Gentiloni, il ministro Calenda, Cgil, Cisl e Uil che chiedono a lui e al sindaco di Taranto di recedere dalla loro guerriglia istituzionale, che prevede impugnative a oltranza dei provvedimenti sull’Ilva pur di affermare la propria identità espressa attraverso poteri di veto. 

No, Emiliano non ritira l’impugnativa al Tar del Dpcm che dispone tempi e garanzie per la riconversione ambientale dell’Ilva. Una riconversione che era così urgente da travolgere i Riva nel 2012, ma che dopo cinque anni gli amministratori pugliesi e tarantini sono ancora disposti a rinviare ulteriormente. 

E non si sa per quanto. Poiché, come avrebbe dovuto prevedere chiunque, l’effetto dell’impugnativa istituzionale è che Arcelor-Mittal, la locomotiva industriale della cordata aggiudicataria della gara per subentrare alla proprietà e gestione dell’Ilva, ha scritto ai commissari dell’azienda che l’impugnativa cambia le cose. Se il 9 gennaio prossimo fosse accolta, Arcelor-Mittal chiederanno come minimo due cose: o il governo è in grado di assumersi in pieno la copertura degli eventuali oneri aggiuntivi derivanti, oppure in ogni caso va modificato il contratto all’acquisto sottoscritto a fine giugno, l’impegno formale dei nuovi proprietari a subentrare. 
In altre parole: se passa il ricorso al Tar, si ricomincia a trattare da capo. E se le nuove condizioni no fossero giudicate convenienti da Arcelor-Mittal, ti saluto Ilva. Emiliano ieri ha usato toni durissimi: per lui si tratta di resistenza democratica a un atto illegittimo del governo. Ha platealmente annunciato l’assunzione di 146 nuove unità all’Arpa regionale, per concentrarle sui controlli ambientali a Taranto. Ha ribadito che nulla potrà farlo desistere, perché la Puglia e Taranto rispondono ai loro amministratori locali. Sembra di assistere all’esportazione a Bari e Taranto dei toni catalani. 

Emiliano sostiene che è solo una questione eminentemente istituzionale, visto che la competenza in materia di impianti energetici è fissata come concorrente tra Stato e Regioni, dal Titolo Quinto vigente della Costituzione non emendata un anno fa. E invece no: proprio diritto costituzionale alla mano, il magistrato Emiliano dovrebbe insegnare al politico Emiliano che in materia di competenza concorrente Regioni e Stato devono attenersi al principio della “leale cooperazione”. Naturalmente, purché si intenda bene che cosa significhi. Per Emiliano, sono Gentiloni e Calenda a violarla. Ma leale cooperazione significa anche essere istituzionalmente consapevoli di cosa si rischia, se a gara aggiudicata invece di confrontarsi ai tavoli istituzionali tutti insieme si fa ricorso al giudice amministrativo, rendendo concreta l’ipotesi che tutto possa saltare dopo cinque anni e mezzo dacché il sequestro dell’Ilva ha preso le mosse.

Dunque la questione non è istituzionale, è invece solo politica. C’è anche un altro indizio. Il sindaco di Taranto aveva espresso la disponibilità al ritiro dell’impugnativa, quando il ministro Calenda ne ha esposto concretamente ed energicamente i rischi, richiamando immediatamente l’impercorribilità che lo Stato, in queste nuove condizioni di incertezza, possa far valere 2,2 miliardi dei contribuenti come garanzia. Ma il sindaco ha poi repentinamente ricambiato idea, di fronte alla pressioni di Emiliano che lo ha invitato a non rompere il fronte anti-governo. È stata solo politica e non istituzionale del resto la dichiarazione in cui Emiliano accusava Calenda di cercare posti per il suo futuro, in aziende del settore. E stata politica la battuta sul governo che tra poco non sarebbe più in carica. E poiché tanti indizi fanno una prova, possiamo allora anche permetterci un giudizio da parte nostra, come non sarebbe il caso invece se la vicenda fosse di competenze istituzionali violate: non solo è politica, è cattiva politica. 

Almeno a nostro giudizio: perché rilancia il caos quando dopo troppo tempo per Ilva si era finalmente imboccata una strada percorribile e certa; perché riaccresce ancora una volta l’inattrattività dell’Italia agli occhi degli investitori esteri, come in passato più volte in Puglia è già accaduto rinunciando a fondamentali investimenti su porti e rigassificatori. E perché, infine, ancora una volta antepone ruoli e primati politici personali al destino di decine di migliaia di lavoratori italiani e di tutte le loro famiglie, e dell’intera comunità di imprese clienti e fornitrici di un impianto e di un gruppo che l’Europa e il mondo chi hanno a lungo invidiato. Prima di ridere sommessamente, compiacendosi nell’assistere a come lo abbiamo trattato, e a come alcuni vorrebbero continuare a trattarlo.
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