Nel nome della madre: in Senato al via l'iter per la legge sul doppio cognome. Ma ancora in pochi lo scelgono

Le famiglie che hanno scelto un cognome diverso da quello del padre, dal giugno 2022, sono in netta minoranza (a Roma non nemmeno il 10%). Tra queste Silvia Salis e Fausto Brizzi

Nel nome della madre: in Senato al via l'iter per la legge sul doppio cognome. Ma ancora in pochi lo scelgono
di Maria Lombardi
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Mercoledì 25 Ottobre 2023, 12:14 - Ultimo aggiornamento: 31 Ottobre, 20:11

Figli di papà, siamo ancora così. Nel nome c’è una parte della nostra storia, nella firma un’identità dimezzata.

E la mamma? La portiamo nel cuore ma non sul codice fiscale o sul passaporto. E anche adesso che potremmo farla vivere, oltre che nei pensieri, anche nei documenti, si continua perlopiù a cancellarla: per pigrizia, inerzia culturale, per scarsa informazione, perché così si è sempre fatto. Ancora troppo poche le eccezioni. La mamma di Eugenio Salis è Silvia Salis. Il papà è Fausto Brizzi. Ancor prima di nascere, poche settimane fa, il primogenito della vicepresidente del Coni e del regista ha fatto una “rivoluzione”. Nel nome della madre. Salis e non Brizzi. «È importante dare un segnale, abbiamo bisogno di un cambiamento culturale», ha spiegato l’ex campionessa di lancio del martello. Cominciamo dall’Anagrafe perché è lì che viene “battezzata” - tuttora nella maggioranza dei casi, a Roma dall’88% dei genitori - la famiglia con il timbro paterno. E allora benvenuto, Eugenio Salis, grazie di averci ricordato - il 5 ottobre scorso - che si può nascere sotto un altro segno, quello del cognome materno. Pur avendo un papà che nella prima foto ti abbraccia teneramente insieme alla mamma.

I DATI

Il più delle volte questa possibilità si dimentica o si ignora (a Roma nemmeno l’1% dei neonati si chiama come la mamma). Eppure è da più di un anno che la “dittatura” del cognome di papà è stata per sempre sepolta. Da quando - il 31 maggio 2022 - la Corte Costituzionale ha dichiarato con una sentenza «l’illegittimità costituzionale» dell’articolo del codice civile (il 262, primo comma) che prevedeva l’automatismo: ti chiamerai come tuo padre. Una discriminazione, la più grande, anche per la Consulta che - dopo aver imposto una nuova regola - ha passato la palla al Parlamento: pensate voi a porre rimedio alle questioni sospese. Più volte la Corte aveva chiesto già ai parlamentari di intervenire, e solo con la sentenza del 2016 era stato riconosciuto ai genitori, purché di comune accordo, il diritto di aggiungere il cognome della madre a quello del padre. E soltanto quello della mamma? Impossibile, sebbene la Corte di Strasburgo, nel 2014, avesse condannato l’Italia per violazione della Convenzione europea, chiamandola a porre rimedio a questo divieto. «Nel cognome dei figli l’eguaglianza tra i genitori», abbiamo dovuto aspettare il 2022 perché un giudice scrivesse la frase che ha demolito uno dei pilastri del patriarcato. E così oggi i figli possono avere il doppio cognome, o solo quello della madre o solo quello del padre (e in ciascuno degli ultimi casi serve il consenso dell’altro genitore). Secoli di storie familiari da riscrivere, ricordandosi delle mamme sparite. È vero che si poteva anche prima cambiare o aggiungere un cognome, ma bisognava rivolgersi al prefetto e avere il consenso del genitore di cui il figlio portava già il cognome. Nonostante i tanti appelli della Consulta, il Parlamento finora è rimasto a guardare. Nella scorsa legislatura erano ben otto le proposte di legge depositate. La buona notizia è che il 24 ottobre è cominciata la discussione di tre disegni di legge presentati in Senato da Julia Unterberger, del Südtiroler Volkspartei, Simona Malpezzi, Pd, e Alessandra Maiorino, M5S. C’è voluto l’arrivo di Eugenio Salis a ricordarci che ora la mamma non è più condannata all’oblio. «Un cambiamento culturale epocale passato incredibilmente inosservato», ha scritto la vicepresidente del Coni sui social sul primo post con il figlio tra le braccia. Una svolta che ha messo fine a «una profonda ingiustizia», come l’ha definita lei. I numeri che arrivano dall’Anagrafe ci dicono che si nasce ancora, e si vive, nel nome del padre. Prendiamo due grandi città. Dopo l’ultima sentenza della Consulta, a Milano è stato registrato con il doppio cognome il 16% dei neonati, e l’11% solo con quello della madre. A Roma va molto peggio: tra il primo giugno 2022 e il 23 ottobre 2023, solo il 9,95 per cento dei neonati è stato iscritto all’Anagrafe con il doppio cognome, appena lo 0,41 (36 bambini) con quello materno soltanto e l’1,6 con i cognomi delle due mamme. Una percentuale più bassa di quella registrata subito dopo la sentenza (da giugno a dicembre 2022) quando i due cognomi avevano toccato il 14,24%. E se volessi, d’ora in poi, firmare anche con il nome di famiglia di mia mamma? Non potrei farlo (a meno che non vada in prefettura), quel diritto vale dalla data della sentenza del 2022 in poi. «E invece è nell’interesse sociale di tutti che ogni bambino possa strutturare la propria identità con l’apporto di entrambi i cognomi e non di uno soltanto», Iole Natoli, giornalista pubblicista, blogger e attivista di “Noi Rete Donne”, ha fatto di questo principio la battaglia di una vita. È stata la prima in Italia a presentare al tribunale di Palermo, nel 1980, l’istanza perché alle figlie fosse aggiunto il suo cognome. «Partivo dall’idea di cambiare la società - racconta la pioniera - volevo incidere a livello radicale sulla formazione mentale delle nuove generazioni.

Il mio primo scritto sull’argomento, che precedeva di un anno l’inizio della causa, si intitolava: la soppressione della donna nella struttura familiare. Questo condizionamento mentale perverso non si è ancora sradicato, e non è un caso se così tanti uomini continuino a usare violenza e sopprimere le donne. Ma il messaggio che sin dalla nascita hanno ricevuto è proprio questo: le donne possono essere soppresse, a cominciare dal cognome».

LE QUESTIONI APERTE

Il ricorso di Iole Natoli fu respinto e da allora, petizioni su petizioni, lei non ha mai smesso di lottare, convinta che «i figli devono avere come riferimento i due ambiti familiari e non devono esistere nonni di serie A e di serie B. Nessuna delle proposte di legge ha preso mai in considerazione la possibilità di regolamentare le situazioni pregresse, ovvero di tutelare quell’interesse dei figli sottolineato con estrema chiarezza dalla Consulta. Nemmeno adesso c’è qualcosa al riguardo». Tante le domande a cui il Parlamento dovrà rispondere. L’ordine dei cognomi, ad esempio. Se i genitori non trovano un accordo? Al momento si ricorre al giudice. «La soluzione migliore sarebbe quella del sorteggio effettuato all’Anagrafe, all’atto della registrazione. Come avviene in Lussemburgo», suggerisce Iole Natoli. E se il cognome diventa nel tempo troppo lungo? «Per evitare la moltiplicazione, bisogna definire il cognome come composto da due elementi scindibili in modo che i genitori possano decidere di attribuirne solo uno». Legge, ribadisce l’attivista, che deve arrivare al più presto. «Altrimenti il diritto alla scelta del cognome continuerà ad essere percepito come un’opzione e non come una necessità sociale che ha lo scopo di creare una nuova mentalità diffusa con cui superare il concetto di superiorità maschile che si forma sin dalla nascita». Eugenio Salis, uno dei pochissimi nati sotto il segno della parità in famiglia.

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