La sound designer Chiara Luzzana: «Creo melodie dal rumore. Ho lasciato la discografia, era troppo maschilista»

La sound designer Chiara Luzzana: «Creo melodie dal rumore. Ho lasciato la discografia, era troppo maschilista»
di Valentina Venturi
4 Minuti di Lettura
Sabato 5 Novembre 2022, 20:33

Il vociare delle persone, le chiavi nella serratura, una crema spalmata sul corpo, il caffè nella moca. Tutto ha un suo ritmo, una musicalità. Prima di Chiara Luzzana, sound designer, nessuno aveva però pensato di trasformare quel rumore in una colonna sonora. Un mestiere insolito, che la 42enne originaria di Lecco ha inventato con tenacia, dopo anni di porte chiuse in faccia e la scoperta del maschilismo nella discografia italiana.
  Ha davvero dato una melodia ai chicchi di caffè?
«Sì, per Lavazza. Volevano che facessi suonare solo i pacchetti di caffè, invece sono andata all'origine: ho seguito il chicco dal Brasile fino a Settimo Torinese. La prima caduta ha dato il ritmo, ma poi ho sentito in lontananza un uccello che cantava. Scopro che era il canto delle 5 del mattino di due grandi nandù: dovevo registrarlo. Convinco la troupe, compresi i manager Lavazza e andiamo nelle piantagioni per recuperare due secondi di canto che sono poi diventati la melodia principale».


Quando è nata l'idea di trovare un suono nel rumore?
«A sei anni i miei genitori si separano. Da quel momento inizio ad aver paura del silenzio, non lo volevo ascoltare. Poi mi rendo conto che il silenzio non esiste: c'è sempre una sequenza di 50Hertz intorno a noi, è il suono del televisore o del frigorifero. È stato in quel momento che ho compreso che non ero sola».


Dai sei anni ad oggi cosa è successo?
«Ho imparato a suonare il clarinetto, la chitarra, il pianoforte e ho anche suonato in bande e orchestre. A 13 anni esce il mio primo demo e a 14 sono produttrice musicale per tre delle più importanti major discografiche; eppure me ne sono andata con grande gioia».


Come mai?
«Dai 14 ai 24 anni in quel mondo ho respirato il maschilismo più radicato, ignorante. All'epoca ero una delle poche produttrici donna, mentre le case discografiche all'80% erano presiedute da uomini vecchio stile, quel genere che ora sa di naftalina. Adesso l'uomo è più aperto, non ha poblemi ad avere intorno donne anche se nel mio ambito al momento non ho competitor né maschili né femminili».


Ha vissuto momenti difficili?
«Ho un carattere poco malleabile sin dall'adolescenza: sono stata messa in difficoltà perché non sono stata mai zitta, dava fastidio il mio non essere catalogabile».


Come è arrivata dalla discografia alla narrazione del suono?

«Studio composizione del suono al Berklee College of Music di Boston, divento ingegnere audio e capisco come il cervello reagisce a certi suoni. Il rumore diventa la mia materia e la scintilla dei 50Hertz il mio lavoro. Ma in l'Italia ricevevo solo rifiuti, non c'era spazio per la sperimentazione. Unica soluzione? Partire. Ho vissuto per cinque anni a Shanghai, dove ho vinto una residenza artistica ed è arrivato il mio primo progetto con Swatch, dove ho dato una melodia agli ingranaggi. Da quel momento si sono aperte le porte che prima mi sbattevano in faccia».

Davvero una crema può esprimere note?
«È il suono del corpo. Mi contattano da Nivea chiedendomi di trovare il suono dell'iconica latta, ma sarebbe stato un peccato fermarsi lì. Come esseri umani abbiamo uno strumento musicale unico: la pelle, primo ricettore di frequenze sonore delle vibrazioni che ci circondano. Costruisco dei microfoni speciali per registrare il suono della pelle quando è sottoposta a diverse atmosfere, li posiziono in container insonorizzati che contengono un'installazione sensoriale di cinque stanze (una fredda, una calda, una con acqua). La pelle reagiva con sonorità differenti a seconda delle emozioni scatenate».


Donna ingegnere del suono: una mosca bianca?
«Quando studiavo per diventare fonico avevo solo colleghi uomini. Le cose stanno cambiando ma in tutto il mondo il divario è ancora 30% - 70%».


In effetti l'equipaggiamento è pesante.
«Giro da sola con speciali microfoni e registratori, anche a nastro, che pesano più di 19 chili, sebbene abbia dei problemi alla schiena. Per questo prima di intraprendere un nuovo progetto faccio un work out fisico importante».


Cosa consiglierebbe a chi vuole seguire le sue orme?
«Studiare musica per poi distruggere le righe e i pentagrammi e fare musica con il rumore: senza la parte classica non sarei andata da nessuna parte. E credere profondamente in sé stessi».


Prossimi rumori da rendere melodia?
«Per BookCity Milano il 20 novembre al teatro Franco Parenti presento il libro Il suono delle cose (RoiEdizioni, ndr) ma il mio futuro è a metà tra il cielo e la terra. Darò suono all'universo, ma non posso dire altro».
 

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