La fotografa Veronique Charlotte: «Il mondo della fotografia è maschilista, ma ci stiamo lavorando»

Veronique Charlotte
di Valentina Venturi
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Sabato 15 Aprile 2023, 13:57

Veronique Charlotte è una direttrice artistica creativa, un'artista visiva, un'attivista sociale e fotografa. Dopo un inizio nel mondo della moda e della fotografia editoriale, dal 2019 ha dato vita ad un lavoro più introspettivo, concentrandosi sul corpo in relazione all'ambiente sociale. Si tratta di "Gender Project" «un progetto di fotografia sociale, che indaga la comprensione e la percezione dell'identità delle persone» catturandone l'unicità; vengono fotografate 100 persone in 10 città, raccontando un totale di 1000 storie. Dopo alcune tappe in Europa, l'esposizione arriva Roma, ospitata negli spazi della Soho House Rome.

Veronique Charlotte, come donna ha mai dovuto lottare per definire il suo posto nel mondo della fotografia?
«Mi definisco una persona non binary, miss gendered costantemente. Sicuramente è stata una salita abbastanza faticosa, ma ho un'armatura forte e tantissimo supporto dalla mia comunità».

Il mondo della fotografia è maschilista?
«Sì, ma ci stiamo lavorando».

"Gender Project": il titolo dell’esposizione che invita alla libertà da dove nasce?
«Il titolo nasce nel salotto di casa mia a Londra nel 2019 dall'esigenza di raccontare quali siano ad oggi i riscontri sociali, politici e artistici legati all'identità di genere, alla sessualità e alla capacità di utilizzare i corpi in maniera politica e ispirazionale a livello culturale e di educazione. L'inizio di "Gender Project" è stato per me un nuovo inizio nel campo della fotografia. Ho deciso di intraprendere la fotografia per cercare la bellezza della vulnerabilità ma con un approccio diverso, qualcosa di molto più intimo e colloquiale».

Come ha scelto le 100 persone che fotograferà a Roma?
«"Gender Project" è uno spazio aperto a tutti coloro che sono felici di far parte di questo viaggio e a tutti coloro che vogliono condividere emozioni, essere aperti al confronto e stabilire connessioni. Pertanto, il progetto non si basa su un casting, ma è un bando aperto per i primi 100 volontari».

Cosa significa provare a catturare l’unicità tramite una mostra dal vivo?
«"Gender Project" parla di vulnerabilità, connessioni e comunicazione, intende riportare le persone insieme senza schermi e senza filtri, è un foto racconto che parla da solo senza bisogno di post produzioni: quello che facciamo è creare tramite l'arte della fotografia una rete sociale attiva, che possa interagire sin dal primo momento con la mostra finale».

I suoi ritratti cosa celebrano?
«Mettono in mostra la memoria collettiva come un oggetto in movimento, che dipende dal nostro intervento, commemorano una comunità multiculturale e diversificata che esiste in questo momento, ma evidenziano anche l'interdipendenza di ciascun personaggio al fine di creare uno spazio sicuro per questa liminalità, sottolineando anche la necessità di rivisitare e osservare continuamente la domanda di identità e rappresentazione».

Prima di scattare le fotografie, di cosa parla con i soggetti prescelti nello “spazio sicuro”?
«Non ci sono domande, non è un colloquio, entrambi fotografo e soggetto assumono una posizione aperta e senza giudizio. Di solito invitiamo i partecipanti ad aprirsi e a sentirsi liberi di esprimere e raccontare ciò che desiderano in totale libertà».

La Soho House Rome è congeniale ad una mostra fotografica?
«Assolutamente sì, offre spazi polifunzionali e ben organizzati grazie ad un team di supporto fantastico a cui siamo  affezionatissimi». 

Dopo Roma dove porterà il suo progetto fotografico iniziato nel 2019?
«Dopo Londra, Milano, Berlino e Roma la prossima tappa di "Gender Project" sarà Barcellona e many more to come».  

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