Colombia, le donne muoiono per la pace

Colombia, le donne muoiono per la pace
di Gabriele Santoro
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Sabato 22 Maggio 2021, 09:18

L'alba del fenomeno della sparizione forzata in Colombia ha una data e porta il nome di una donna. Era il 9 settembre 1977, quando un battaglione dell'intelligence di Stato, in ossequio alla dottrina della Sicurezza nazionale applicata a ogni forma di dissidenza, sequestrò all'aeroporto di Barranquilla la batteriologa e militante Omaira Montoya che aveva trent'anni ed era al terzo mese di gravidanza, disperdendone le tracce.
La sparizione forzata si pone il fine di occultare il posto in cui è nascosta la vittima. I propositi dei rapitori sono specificatamente politici. Si confondono le informazioni sul destino degli scomparsi. Secondo l'Istituto Nazionale di Medicina Legale la sorte di Montoya è toccata a 37.067 donne con responsabilità diffuse, dalle forze militari dello Stato agli altri attori della guerra civile. Il momento più critico per la quantità delle sparizioni risale al quinquennio 2000-2005 e in precedenza negli anni Ottanta.
BILANCIO
Oggi nel Paese centoventimila famiglie attendono di scoprire dove siano i propri cari, che risultano desaparecidos, e vivono nel limbo di un'assenza indefinibile. Il conflitto armato colombiano, lungo mezzo secolo e tutt'altro che concluso, si combatte spesso sul corpo delle donne che continuano a essere uccise, perché si schierano in prima linea nella difesa dei diritti umani e dei territori, soprattutto nelle zone rurali, governati dai cartelli del narcotraffico e dagli interessi economici delle industrie estrattive illegali come quella dell'oro.
L'Onu stima siano più di 400.000 le donne vittime di omicidio nel contesto del conflitto armato, delimitando l'arco temporale tra il 1958 e il 2018. Il Centro Nazionale di Memoria Storica ha calcolato 15.076 persone, di cui il 91.6% donne, sopravvissute alla violenza sessuale usata come strumento di guerra. Le donne, che da cinque anni sostengono l'implementazione dell'accordo di pace del 2016 tra il governo colombiano e le Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia) lottando per condizioni di vita più eque, sono nel mirino.
Negli ultimi cinque anni sono cadute 146 costruttrici di pace a causa di omicidi premeditati. In un recente agguato, teso da un gruppo armato, la leader indigena María Bernarda Juajibio, sindaca del Resguardo del Cabildo Kamentsá Biya', è stata assassinata insieme alla nipote di un anno e mezzo nel villaggio di La Esmeralda, a Orito. Un mese dopo è accaduto a Sandra Liliana Peña Chocué, governatrice della riserva indigena La Laguna-Siberia SAT Tama kiwe e madre di due figlie. Una leader che aveva sfidato a viso aperto i narcotrafficanti che infestano la regione strategica del Cauca per la produzione della cocaina.
Le donne rifiutano il destino della vittima e sono protagoniste del difficile processo di costruzione della pace. Luz Marina Monzón Cifuentes è una di loro. Per vent'anni ha difeso le vittime delle violazioni nei tribunali colombiani e nel Sistema Interamericano di Giustizia per i diritti umani. Lei è un punto di riferimento in America Latina della Commissione Internazionale sulle persone scomparse (ICMP). Ora Monzón è al vertice dell'Unità di Ricerca dei Desaparecidos (UBPD), creato nell'ambito dell'accordo di pace con l'intenzione di mettere per la prima volta le vittime al centro di un percorso inedito di riconoscimento delle perdite subite e di riconciliazione attraverso l'accertamento della verità e l'applicazione della giustizia riparativa.
La missione dell'UBPD è dispiegata in tutto il Paese con piani regionali e non è vincolata ai processi giudiziari. Nell'Istituto Nazionale di Medicina Legale è stata istituita la banca dati genetica, che raccoglie i campioni di DNA dei famigliari degli scomparsi, necessaria per l'identificazione dei resti umani rinvenuti nelle fosse comuni e in altri luoghi. «La situazione dei desaparecidos non riguarda solo i parenti osserva Monzón è una questione di Stato. Molte donne sono state vittime delle sparizioni forzate e al contempo sono le più tenaci nella ricerca dei propri cari. Non si arrendono e non si fermano neanche davanti alle minacce». Nell'ultimo decennio il coraggio di un gruppo di madri ha scosso il Paese dalla rassegnazione e dal rischio dell'oblio indifferente.
RESILIENZA
Nell'avanzamento della ricerca di verità e giustizia hanno un ruolo fondamentale le Madres de los llamados Falsos Positivos de Colombia (Mafapo): 6042 madri cercano di ritrovare i figli e di ricostruire esattamente che cosa sia successo.
A marzo una rappresentanza dell'associazione Mafapo è stata ascoltata in modo congiunto dalla Giurisdizione speciale per la pace e dalla Commissione per la Verità. Come ha detto la commissaria Alejandra Miller Restrepo, queste donne insegnano alla Colombia, e non solo, che cosa significhi tatuarsi il dolore e l'amore sul corpo.
L'impegno coinvolge diverse generazioni di donne per la concretizzazione dell'accordo di pace de L'Avana. Naydú Cabrera Reyes, descrive così le implicazioni personali del processo: « Questo non è solo un lavoro ma una missione: restituire con la verità la dignità alle vittime».

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