Luca Cifoni
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di Luca Cifoni

Non è un Paese per ventenni: dal 1991 ne sono "spariti" 3 milioni

Anche l'emigrazione dei laureati inizia a concorrere alla riduzione della popolazione giovane
di Luca Cifoni
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Giovedì 5 Novembre 2020, 11:51

«Avevo vent'anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita». Il memorabile incipit di Paul Nizan si potrebbe trasporre nell'Italia di oggi: i ventenni, nel senso di coloro che hanno tra i 20 e i 29 anni, non possono certo dire di essere la fascia di età più influente ed anzi anche in termini strettamente numerici stanno diventando sempre meno rilevanti. Attualmente - apprendiamo dai dati Istat - sono poco più di 6 milioni, oltre tre milioni in meno rispetto a trent'anni fa quando però la popolazione complessiva era meno numerosa. In percentuale quindi la loro incidenza scende ancora più vistosamente, dal 16,2 del 1991 ad un esiguo 10,2 a inizio 2020. Per fare un confronto, i residenti tra i 50 e i 59 anni sono 9,5 milioni.

La tendenza all'invecchiamento della popolazione è naturalmente comune al resto d'Europa, ma la percentuale italiana di popolazione tra i 20 e i 29 è è la più bassa del continente, appena al di sotto di quella spagnola mentre Francia e Germania si collocano tra l'11 e il 12 e i Paesi scandinavi riescono a mantenersi intorno al 13. Per quanto ci riguarda, le cause del fenomeno sono note: proprio a metà degli anni Novanta dello scorso secolo il numero delle nascite ha toccato un record negativo prima della parziale ripresa terminata nel 2008 (oggi siano su livelli ben più bassi).

Ma poi la schiera degli attuali ventenni è stata solo in parte rinforzata dal flusso della migrazione.

Negli ultimi cinque anni anzi la platea totale si è ridotta di oltre 200 mila unità: più di un quarto di questo calo è dovuto ai ragazzi stranieri (o più precisamente alla loro componente femminile): dato molto significativo anche tenendo conto del “travaso” dovuto alle acquisizioni di cittadinanza. Inoltre – sebbene si tratti di numeri molto limitati in rapporto alle grandezze demografiche – inizia ad incidere anche il flusso in uscita dei giovani, compresi gli under 30, che lasciano il nostro Paese per completare gli studi o lavorare all'estero.

In una fase di emergenza come quella attuale si può certo pensare, almeno in parte a ragione, che ci siano problemi ben più gravi e urgenti da affrontare; e nel dibattito pubblico i giovani sono evocati per lo più come possibili diffusori del contagio. Eppure l'idea della marginalità dei ventenni (quella numerica è solo un aspetto) dovrebbe farci riflettere e forse preoccuparci un po'.

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