Ed è proprio questo fattore che sta mettendo in crisi molti impianti francesi per un'epidemia di gastroenterite. Dal 3 gennaio è in vigore il divieto di pesca, raccolta, spedizione e commercializzazione in alcune zone della Normandia; in Bretagna, invece, sono quattro i provvedimenti di maxi blocco entrati in vigore tra il 18 dicembre e il 2 gennaio che, secondo il Comitato regionale di molluschicoltura, hanno coinvolto 150 delle 330 aziende presenti. Sotto accusa della contaminazione da norovirus dei molluschi, secondo il Comitato, è l'inquinamento causato dagli scarichi costieri, favorito da basse temperature e piogge intense che hanno alimentato gli impianti di depurazione. A dicembre 2019, il Public Health France ha rilevato 123 casi di intossicazione alimentare sospettati di essere collegati al consumo di molluschi, contro una media di 70 l'anno.
L'Italia, dopo la Francia, è tra i principali consumatori di ostriche, quasi tutte però importate perché la produzione nostrana non supera le 170 tonnellate l'anno, contro le 120 mila tonnellate francesi.
Un mercato sul quale si investe da circa 10 anni e che ancora non riesce a soddisfare le numerose richieste; non è un caso se l'85% di italiani pensa che l'ostrica arrivi quasi esclusivamente dalla Francia. A oggi ci sono una decina di impianti sulle coste di Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Marche, Puglia e Sardegna. C'è poi chi ha fatto uno sforzo in più nel ferrarese, come la Cooperativa Sant'Antonio di Gorino, creando una filiera tutta italiana, l'unica a livello nazionale, partendo dal seme non importato, per arrivare alla tecnologia con un innovativo sistema di produzione brevettato; il risultato è l'ostrica d'oro di Goro venduta con il marchio 'Golden Oyster'. Un settore, quello dell'ostricoltura nazionale, destinato a crescere se non fosse per una tassazione che Fedagripesca considera sproporzionata. Se in Francia le ostriche sono considerate alla stregua di una baguette con l'Iva al 6%, in Italia, invece, sono un prodotto di lusso con il 22%. «Un vecchio retaggio culturale da eliminare - commenta l'associazione - visto che la stragrande maggioranza dei prodotti ittici, in acquacoltura, hanno un'Iva al 10%».
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