Automobilismo, odontoiatra e pilota: Marco Gramenzi a 68 anni è di nuovo campione

«Io, trasportato dalla passione pura, dalla voglia di correre come un ragazzino: l’amicizia, il buon senso, la lealtà sono fattori imprescindibili per me, nella vita come nello sport».

Odontoiatra e pilota, Marco Gramenzi a 68 anni è di nuovo campione
di Paolo Martocchia
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Lunedì 23 Ottobre 2023, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 24 Ottobre, 10:01

Marco Gramenzi, 68 anni, medico odontoiatra di Teramo, ha conquistato il nono titolo italiano della Velocità Montagna: un record nazionale per un pilota entrato di diritto nella storia della disciplina sportiva. Sull’ineluttabilità del destino l’uomo si accapiglia fin dalla notte dei tempi, ma una sera di circa trent’anni fa, quando il suo amico Roberto Di Giuseppe - già rinomato pilota - lo invitò a mettersi alla prova, nessuno avrebbe creduto a un percorso simile. Percorso che Gramenzi inizia in tarda età, a 39 anni, e che oggi è una storia da tramandare, per la passione sportiva, la lealtà, il riconoscimento del merito all’avversario: i fattori che determinano i valori dello sport. Di questi tempi potrà sembrare un pensiero ai limiti dell’ingenuo; invece, pensando allo sport, e non solo a quello, è bello credere che con la fiducia - e dunque la purezza - si possa davvero migliorare il mondo.

Nove titoli nazionali in vent’anni di carriera, tre negli ultimi quattro campionati alla guida dell’Alfa Romeo 4C, il bolide da pura emozione: motore Zytec V8 3.0cc, potenza di 525 cavalli e gomme Avon da 18. «L’automobilismo mi ha insegnato a rafforzare l’equilibrio, la riflessione, a confrontarmi con gli altri e con me stesso» dice Gramenzi, che sottolinea: «Mi ha trasportato la passione pura, la voglia di correre come un ragazzino: l’amicizia, il buon senso, la lealtà sono fattori imprescindibili per me, nella vita come nello sport». Scavando nella bibliografia storica Gramenzi testimonia l’ultimo esempio di una regione che ha stretto a doppio filo un connubio che lo lega all’automobilismo sportivo.

Negli anni Venti del secolo scorso è a Castellammare Adriatico (la futura Pescara) che inizierà la leggenda della Coppa Acerbo, che vide trionfare nella prima edizione (1924) un pilota che si chiamava Ferrari; è l’epoca in cui l’Abruzzo dei cafoni di siloniana memoria, è già noto alla stampa per le vittorie in Salita del «Re della Montagna», il marchese Diego De Sterlich Aliprandi, il nobile di origini austriache che vendette un congruo appezzamento di terra per aiutare finanziariamente Maserati, la cui casa automobilistica era vicina al fallimento. Abruzzo terra di motori da oltre un secolo, che nel dopoguerra ha prodotto nomi rimasti nella storia della disciplina sportiva: da Juan Manuel Fangio, l’argentino cinque volte campione del mondo di Formula 1 nato in provincia di Chieti fino a Taraschi, a Patriarca, Pirocchi e Cerulli. Campioni titolati accomunati dal fascino dello sport, fascino che si svela in modo clamoroso quando entra in scena l’elemento umano, un elogio al potere e al mistero della mente. Un rombo senza fine che si staglia nei valori assoluti dello sport e che balza a livelli mondiali con Tarquini (campione del mondo a 56 anni), Trulli, Caldarelli, Ponzio ed ora Gramenzi, che pensa di imitare Paul Newman («Correrò fino a quando il fisico me lo permetterà») ed ai giovani appassionati dice: «Più manualità e studio della macchina e meno social». 

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