Fino a non più di una cinquantina di anni fa, con il sopraggiungere della stagione invernale la maggior parte dei paesi e dei centri rurali e pastorali dell’Abruzzo interno, subivano un vero e proprio spopolamento: quasi tutti gli individui maschi tra i 14 e i 65 anni lasciavano madre e moglie per accompagnare le pecore ai verdi pascoli delle Puglie o della campagna romana. Fatta la vendemmia dai tirchi tralci e spremuto il vino aspro da portare in transumanza, raccolte le patate e macinato il grano, arati i campi, il giorno di San Michele uomini e pecore lasciavano case e ovili e si mettevano in cammino.
Nelle case, madri e mogli si apprestavano a restare sole. Ma le attendeva tanto lavoro: andava “cardata” la lana per rifare i materassi del talamo; si iniziava a tessere la tela per cucire il corredo delle figlie; a “battere” i legumi sull’aia; a preparare le conserve con le poche verdure raccolte.
Intanto i pastori percorrono il tratturo in fila, uno dietro l’altro, ognuno col suo gregge. La sera, scaricate le masserizie dai basti dei muli, si attrezza lo stazzo con paletti e reti, si rifocillano i cani e si prepara il fuoco per riscaldarsi e cuocere la cena. Il pasto è semplice, povero, leggero: pane secco cotto nel siero avanzato dalla preparazione del formaggio e improfumato con qualche erba raccolta lungo la strada e insaporito con una grattata di crosta di pecorino; il tutto “riscaldato” da un sorso di quel vino aspro e dal colore indefinito che sa di casa.
Lungo il cammino i pastori si imbattono in casolari, stazioni di posta, piccoli villaggi, viandanti: qui si fanno affari. Si baratta qualche ricottina racchiusa in uno scrigno di vimini e di foglie di vite o una pecora irrimediabilmente ferita, in cambio di qualche forma di pane, un cesto di uova, qualche piede di insalata fresca, una gallina che non “feta” più: tutto quello che non sono riusciti a portare da casa e che servirà per diversificare la loro dieta.
l formaggio no. Quello non viene né consumato durante i pasti, né scambiato in occasionali incontri. Il formaggio è prezioso e verrà venduto solo a solidi e “soliti” compratori che li aspettano lungo il percorso o alla loro destinazione finale.
LA RICETTA
Metto a cuocere 300 gr di sagnarelle in acqua bollente leggermente salata.
Taglio a listarelle sottili 150 gr di pancetta tesa, dopo averla privata della cotenna e delle parti gialle e la faccio rosolare in poco Olio extravergine fino a farla diventare croccante.
In una ciotola, schiaccio con una forchetta 400 gr di ricotta di pecora, aggiungendo 50 gr di pecorino grattugiato e un cucchiaio di acqua di cottura.
Quando le sagnarelle saranno molto al dente, spengo la fiamma e tolgo una parte dell’acqua in modo da ottenere la densità di una minestra.
E’ il momento di aggiungere il composto ottenuto con la ricotta e il pecorino.
A questo punto anche la pancetta dovrebbe essere pronta: bella croccante, la unisco alla minestra, insieme al grasso.
ascio riposare per qualche minuto e servo in ciotole ben calde con una spolverata di pecorino e una “nuvoletta” di pepe nero.
Carlo Gizzi
© RIPRODUZIONE RISERVATA