L'Aquila, truffa al baby calciatore: condannato l'ex ds Di Nicola

Ercole Di Nicola con il suo avvocato
di Teodora Poeta
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Martedì 29 Gennaio 2019, 09:28
Gli avevano fatto credere che avrebbe potuto sfondare nel mondo del calcio, ma in realtà hanno solo approfittato "della forte volontà della madre del ragazzo di vedere il proprio figlio militare nella squadra di L’Aquila Calcio 1927", inducendo così in errore la donna sulla circostanza che Ruis avrebbe sicuramente giocato in squadra soprattutto perché mantenuto dai genitori, riuscendo così a farsi consegnare otto assegni bancari da 3.500 euro ciascuno. Ieri, su sentenza del giudice Carla Fazzini, l’allora dirigente dell’Aquila Calcio, Ercole Di Nicola, e Domenico Falanga, procuratore del calciatore albanese Ruis Zenuni, sono stati entrambi condannati a 9 mesi di reclusione ciascuno per truffa in concorso e 1.200 euro complessivi di multa. Inoltre, gli imputati e il responsabile civile L’Aquila Calcio sono stati condannati in solido tra loro al risarcimento delle parti civili e ad una provvisionale di 60mila euro.

La vicenda è quella del mancato tesseramento al club aquilano, all’epoca in Lega Pro, del giovane calciatore albanese Zenuni classe 1991, per cui i genitori avrebbero versato dei soldi intascati da Di Nicola e mai finiti nelle casse della società. A proporre al ragazzino e ai genitori di giocare con L’Aquila calcio all’epoca fu il procuratore sportivo, nonché amico di famiglia, Falanga, il quale riferì che la società era in gravi difficoltà economiche per cui avrebbero dovuto versare una somma annua comprensiva di vitto, alloggio, stipendio mensile e trasferte di 35mila euro. Una proposta allettante per la madre, che sognava un futuro migliore per il figlio. E così a prendere gli 8 assegni per un importo complessivo di 28mila euro, fu proprio Falanga, il quale si incaricò di effettuare il versamento della restante somma, 7mila euro, che il giovane calciatore gli avrebbe ridato nel momento in cui avrebbe iniziato a giocare. Ma le cose non sono andate esattamente così. Innanzitutto perché la madre di Ruis aveva chiesto del tempo per mandare all’incasso gli assegni, mentre a quanto pare Di Nicola, "nella più totale spregiudicatezza e insensibilità", come ha sottolineato la parte civile, ha incassato velocemente gli assegni in proprio favore, in parte per ottenere liquidità, ha motivato il giudice nella sentenza di condanna, in parte per spese personali.

«Nel frattempo, il ragazzino Ruis si recò presso L’Aquila Calcio, iniziò gli allenamenti e durante gli stessi, unitamente ad altri ragazzini, circa una cinquantina, l’allenatore, il responsabile di prima squadra, lo valutava, ma veniva fuori che non era affatto talentuoso, però “sapeva che era stato finanziato dai genitori affinché entrasse in squadra”».

I fatti contestati risalgono al 2011 e la competenza territoriale è passata a Teramo perché l’ultimo versamento di denaro sarebbe avvenuto a Giulianova. Ad un certo punto quindi succede che Ruis lascia il campo, nessuno lo vede più agli allenamenti, è ottobre del 2011. Ha saputo, infatti, che la Lega Pro non accetta il suo tesseramento perché non ha la cittadinanza comunitaria. Una circostanza che Falanga sapeva benissimo, così come lo stesso Di Nicola, lo scrive il giudice. A pochi mesi dalle promesse, lontano da casa, i sogni per il giovane calciatore albanese si stavano mano a mano spezzando. La sua famiglia aveva fatto tanti sacrifici economici per farlo stare lì, per farlo vivere, mangiare e tutto il resto, ma qualcuno ne aveva approfittato spudoratamente. Il giovane Ruis addirittura, nonostante i 28mila euro anticipati dai genitori, ha sofferto la fame e ha dormito su una brandina lungo il corridoio della villa dove era in ritiro per gli allenamenti a partire da subito oltre a non aver mai giocato.
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