Gettato in una grotta per incassare la pensione, uno dei figli: «Solo ora ho saputo della morte: non parlavo con papà da due anni»

Parla il più giovane dei tre fratelli, il cinquantaduenne Benito, noto commerciante di abbigliamento di Trani: io non c'entro

Gettato in una grotta per incassare la pensione, uno dei figli: «Solo ora ho saputo del decesso: non parlavo con papà da due anni»
di Patrizio Iavarone
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Giovedì 6 Luglio 2023, 09:34 - Ultimo aggiornamento: 16:28

«Ho saputo, con profondo sconcerto, della morte di mio padre solo a seguito della perquisizione predisposta dalla procura di Sulmona: non parlavo con lui da più di due anni per radicali divergenze familiari che mi hanno costretto ad allontanarmi dal nucleo familiare di origine. Ora voglio recuperare la salma di mio padre per dargli degna sepoltura al cimitero di Trani». A parlare è il più giovane dei tre fratelli Delnegro, il cinquantaduenne Benito, noto commerciante di abbigliamento di Trani, uno dei quattro indagati dalla procura di Sulmona nel caso dell’uomo senza volto, l’ottantunenne Bruno Delnegro abbandonato la notte tra il 26 e il 27 luglio a Castrovalva, in Abruzzo, morto, avvolto in un sacco a pelo.


Una soppressione di cadavere finalizzata ad intascare la lauta pensione che l’ex quadro Asl percepiva e che, secondo l’accusa, i tre figli e una nuora, avrebbero pianificato ripulendo il conto corrente e le casse dell’Inps per circa 60mila euro. Il più giovane dei fratelli, accusato di concorso in truffa ai danni dell’Inps e di indebito utilizzo della carta bancomat del defunto, si tira fuori da ogni contestazione, spiegando tramite il suo avvocato, Giancarlo Falco, di «non intrattenere più alcun genere di rapporto con il padre, di essere anche all’oscuro degli emolumenti pensionistici che percepiva, delle sue operazioni bancarie e finanche dell’intervento al femore a cui era stato sottoposto a dicembre 2021».

Dice di voler chiarire al più presto al magistrato la sua posizione.

Sarà probabilmente, quindi, il primo ad essere interrogato dal sostituto procuratore Edoardo Mariotti che conduce le indagini, dopo il tentativo fatto e fallito l’altro giorno, per il rifiuto dell’indagato, di ascoltare quello che viene ritenuto, insieme alla compagna, l’esecutore materiale della soppressione del cadavere: Salvatore Delnegro, 55 anni, anche lui ex commerciante che, secondo la ricostruzione della procura, insieme alla sua compagna, Barbara Mastropasqua, 41 anni, la sera del 26 luglio dello scorso anno, dopo aver accertato la morte di Bruno Delnegro, lo denudarono, lo avvolsero in un lenzuolo, poi lo chiusero in un sacco a pelo comprato la sera stessa e lo caricarono in auto per un lungo viaggio di 350 chilometri fino in Abruzzo. Un viaggio di quattro ore e mezzo ad andare e quattro ore a tornare, per scaricare il corpo lungo la strada che porta a Castrovalva e liberarsi del cadavere in soli quattro minuti. Un’operazione di cui, secondo gli inquirenti, non poteva non essere a conoscenza l’altro fratello, Domenico Delnegro, 57 anni insegnante, perché insieme a Salvatore di fatto viveva nella casa paterna dove il loro padre era ormai allettato e incapace di badare a se stesso.


A sostenere l’accusa della procura ci sarebbero anche diversi riscontri oggettivi: l’auto, una Ford Focus station wagon in uso a Salvatore Delnegro venne identificata tramite Gps nel lungo viaggio, così come la cella telefonica della sua compagna, agganciò la rete di Castrovalva proprio alla stessa ora nella quale si presume sia stato abbandonato il corpo in balia degli animali selvatici. Un piano quasi perfetto, se non fosse stato per quella protesi all’anca che venne applicata a dicembre del 2021 a Bruno Delnegro e tramite la quale la procura è risalita all’identità del cadavere (ormai decomposto e con il volto mangiato dagli animali quando venne ritrovato il 30 luglio) e al cinico e macabro piano che c’era dietro.
Patrizio Iavarone
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