La droga prima sepolta, poi venduta su whatsapp: tutte le accuse alla banda dell'Aquila

La droga prima sepolta, poi venduta su whatsapp: tutte le accuse alla banda dell'Aquila
di Marcello Ianni
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Martedì 28 Aprile 2020, 09:09
La droga, acquistata tra Roma, Tivoli e Celano, veniva nascosta sotto terra e poi venduta al dettaglio anche dietro vendita o pegno da parte degli acquirenti (anche molto giovani) di oggetti in oro, smartphone e bancomat. Una banda di macedoni e albanesi ben inserita nel tessuto aquilano che si sarebbe avvalsa della collaborazione anche di tre aquilani per smerciare numerose dosi di cocaina ed hashish che avrebbero fruttato qualcosa come 50-60 mila euro al mese. E’ quanto hanno scoperto gli agenti della Sezione narcotici della Squadra mobile (diretta da Marco Mastrangelo) che hanno arrestato 6 persone (altre tre sono da ricercare) e denunciato in stato di libertà altre nove persone di cui tre aquilani. Gli arrestati sono Tahir Selmani, nato in Macedonia, 50 anni; Mirsad Aljija, nato in Macedonia, 34 anni; Marjus Lazaj, nato in Albania, 31 anni; Kujtim Saiti, nato in Macedonia, 36 anni; Bledar Shehaj, nato in Albania, 39 anni; El Mati Ettalhaouy, nato in Marocco, 44 anni, residenti soprattutto nelle frazioni di Paganica, Bazzano e nei Comuni di Pizzoli e Fossa. Sequestrati complessivamente 1,5 chilogrammi di cocaina e 2 di hashish.

Secondo le indagini, la banda macedone-albanese era solita sotterrare (utilizzando un piccone rinvenuto dagli agenti), la cospicua quantità di sostanza stupefacente, acquistata anche a 9 mila euro alla volta. In prossimità del cimitero di Cavalletto d’Ocre e vicino al lago di Bagno, o nelle campagne di Roio, i luoghi dove di volta in volta lo stupefacente veniva tirato fuori all’occorrenza per essere poi tagliato. Non solo. Le carte dell’accusa raccontano anche la sfacciataggine di Selmani Tahir, il quale sottoposto agli arresti domiciliari per analoghi fatti di spaccio di droga, dopo la notifica della misura cautelare da parte degli agenti della Squadra mobile avrebbe ripreso a spacciare cocaina, (sei i casi contestati) servendosi all’occasione anche di complici quando aveva problemi ad uscire di casa. Secondo gli investigatori le prenotazioni avvenivano prevalentemente su Whatsapp con un linguaggio a volte “criptato” a volte no. Quando dovevano dissotterrare la droga, oltre al piccone la banda portava con sé un bilancino elettronico che chiamavano “asino”. Il prezzo di una dose era di circa 50 euro, “caramelle” il termine indicato le singole dosi di cocaina, “sassi” per 10 grammi, una mano o un palmo (cinque dita) per indicare altrettanti grammi, una birra piccola per indicare una singola dose da mezzo grammo. 
Marcello Ianni
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