Coronavirus, guarito operatore 118 L'Aquila: «La febbre nel giorno della pensione, poi la paura»

Augusto Castellani con Franco Marinangeli
di Stefano Dascoli
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Martedì 21 Aprile 2020, 14:40 - Ultimo aggiornamento: 14:47
L'AQUILA - Con i contagi ormai azzerati da dieci giorni e prospettive di uscita anticipata dall’emergenza di carattere sanitario, L’Aquila fa i conti con la necessità di potenziare l’ospedale, i servizi e la capacità di fare tamponi così da offrire le giuste garanzie per la “fase 2”.

Al San Salvatore nei prossimi giorni sarà attivata la prima Riabilitazione dedicata a pazienti Covid-19. Questo consentirà di liberare subito 4-5 posti in Malattie infettive, il reparto diretto da Alessandro Grimaldi che ha tenuto ritmi elevatissimi per tutta la durata dell’emergenza, visto che ha ospitato positivi da ogni parte d’Abruzzo.

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L’operazione è ai dettagli, la direzione aziendale potrebbe darne comunicazione già oggi. Ieri è rientrato un allarme che aveva destato qualche preoccupazione, ovvero alcuni casi di pazienti febbricitanti ospitati in una residenza per anziani.  Fortunatamente i tamponi hanno escluso positività e la situazione è prontamente rientrata nei ranghi della normalità.

Nel frattempo su 35 casi cittadini totali, le guarigioni sono arrivate a 11: ieri altri tre, tra cui una coppia di coniugi e un medico di base originario del Nord.

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Tra i guariti c’è anche Augusto Castellani, storico operatore del 118 che ha avuto la febbre che avrebbe rivelato il contagio da covid-19 nel giorno in cui, dopo 43 anni in prima linea nel salvare vite umane, ha firmato per andare in pensione. Per sconfiggere il terribile virus ci sono voluti venti giorni di ricovero nel “suo” ospedale, di cui una quindicina in terapia sub intensiva.

«Ho avuto molta paura per me e la mia famiglia» ha raccontato ieri il 64enne Castellani che è uscito dall’incubo a Pasqua. Per lui è stato un periodo di grande sofferenza non solo per il coronavirus, ma anche perché in seno alla sua famiglia si è consumato un piccolo focolaio per contemporanea positività della figlia, anestesista all'ospedale di Avezzano, del piccolo nipote e del genero, oncologo all'ospedale di Teramo, dove ha contratto il virus.

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La sua è una storia a lieto fine raccontata mentre è in convalescenza, isolato, in un appartamento che si trova di fronte alla sua casa più grande, da dove può vedere, a debita distanza, sua figlia e suo nipote «che sono guariti senza sintomi»: sapendo che anche il genero, isolato in un altro stabile nel capoluogo regionale, «sta bene, attende i tamponi negativi per riprendere l'attività». Gli unici a non ammalarsi sono stati la moglie, infermiera strumentista in pensione («si è salvata perché ha usato da subito la prevenzione») e l'altro figlio che vive e lavora a Milano come dirigente di un'azienda privata.

«La malattia è brutta – dice Castellani -, per chi se la vive solo con la febbre assomiglia a una influenza pesante, se vira un po’ diventa preoccupante, è determinante la questione tempo, naturalmente insieme a strutture ed operatori all'altezza. Spero che si facciano le scelte giuste con i fondi in arrivo - spiega. Io l'ho vissuta sulla pelle, potevo arrivare in sub intensiva due giorni, ma non c'erano posti letto. Ho perso circa 12 chili, sono ancora debole, ho dolori muscolari, ma con il tempo mi riprenderò».

«Non ho avuto una forma severa, ma intermedia - continua -, non sono stato mai attaccato a respiratori invasivi ma ho avuto paura perché la malattia può virare improvvisamente al peggio. E’ stato importante vedere facce amiche perché con chi mi ha curato ho lavorato per tanti anni. Mentre ero lì ero ancora più preoccupato perché non potevo aiutare la mia famiglia e il mio nipotino, ed inoltre avevo il pensiero di mio figlio a Milano: lo avevo pregato di non tornare e per non essere accusato di essere untore, ma mi sentivo morire al pensiero se gli fosse successo qualcosa a Milano, al centro della pandemia - conclude -. Non me lo sarei perdonato».
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