L'Aquila, l'utopia di monsignor Antonini
«Rifatela più bella di prima»

L'Aquila, l'utopia di monsignor Antonini «Rifatela più bella di prima»
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Sabato 21 Novembre 2015, 01:33 - Ultimo aggiornamento: 4 Novembre, 16:23
L'AQUILA - Mons. Orlando Antonini, il “prete operaio” come negli anni Settanta venne ribattezzato all’Aquila, non immaginando che potesse scalare le gerarchie ecclesiastiche fino a diventare nunzio apostolico (ultimo incarico a Belgrado dopo Zambia/Malawi e Paraguay), da alcuni giorni è in pensione, nel suo Map a Villa Sant’Angelo. Dopo l’emorragia cerebrale patita nel 2013 e dietro i consigli dei medici a “tagliare” al possibile le sue attività ed evitare i voli aerei, ha tagliato l’unico impegno extra che gli era possibile: il servizio diplomatico alla Santa Sede. E’ in pensione e i sarà a disposizione sia da ecclesiastico che da studioso ma fuori da ogni incarico ufficiale.

Certo non sarà un “buen retiro” nella sua Villa S. Angelo...



«No, infatti. Sarà un “retiro” attivo. In questo ho un precedente settecentesco illustrissimo: Anton Ludovico Antinori, il quale a 53 anni, dopo esser stato arcivescovo di Lanciano e poi di Matera ed Acerenza, si ritirò all’Aquila per tornarsene agli studi e raccogliere da tutti gli archivi abruzzesi notizie e documenti che han reso preziosissima la sua ben nota opera di ricerca storica. Nel mio piccolo- il paragone col grande storico aquilano si ferma naturalmente al mero fatto del comune ritiro in “pensione attiva”– da un lato potrò dedicare maggior tempo alla preghiera».



Lei è l’ideologo di una ricostruzione dell’Aquila come di una città “più bella di com’era”. È un’utopia?



«La qualifica che lei mi attribuisce può esserlo solo nel senso del famoso “beati monoculi in terra cecorum”. Ossia che, costatato l’assordante silenzio degli enti e dei professionisti dai quali al momento della formulazione della normativa di ricostruzione post-sismica si attendevano proposte di un progetto di città e di ripresa economica del territorio, ho atteso due anni e nel 2012, da semplice amatore ho ardito offrire, nel volume “L’Aquila nuova negli itinerari del Nunzio”, l’idea che lei dice: un modello cioè di un’Aquila “dov’era ma meglio di com’era” dal punto di vista sia costruttivo e strutturale, mirando alla sicurezza, e sia urbanistico ed architettonico, mirando alla bellezza. Diverso quindi dal modello, troppo comodo e molto poco lungimirante, di una ricostruzione “dov’era e com’era” che purtroppo si andava ormai imponendo. Sono concetti già espressi in lunghe note nei miei volumi del 1988 e specialmente del 1993: urgenza di sanare architetture sacre e civili deformate nel tempo, scempi urbanistici perpetrati soprattutto dagli anni Cinquanta/Sessanta in poi, skyline della città antica mortificato nelle sue emergenze architettoniche e, last but not least, la cinta muraria storica con le sue porte e torri da recuperare. Il tutto, nel quadro di una ripianificazione economica in chiave turistica che richiede come condizione appunto il possesso, da parte della città e dell’Abruzzo montano, di una capacità di attrazione e di una “competitività” artistica e naturalistica, rispetto alle altre città e regioni italiane, ben maggiori di quelle anteriori al sisma. Utopia? Forse. Intanto l’idea di una città più bella si è fatta strada ed anzi alcune delle istanze da me segnalate sono state recepite e fatte proprie con passione dalle associazioni culturali che lei ben sa, capaci di sollecitare e coadiuvare le istituzioni preposte alla ricostruzione».



Le antiche mura cittadine come cardine della “ricostruzione”?



«Le cinte murarie complete di porte e torri costituiscono, nella generalità e certamente all’Aquila, il dato principale tra quelli che concorrono a delineare la fisionomia di quella che è una città storica. La cinta recuperata, assieme alle strutture medioevali e rinascimentali stupende che si vanno riscoprendo nella ricostruzione in atto, ridarà agli Aquilani l’identità civica smarrita specialmente dopo il terremoto, vedi le quasi 12mile firme raccolte dietro il vivace dibattito pubblico svoltosi sul recupero dell’antemurale principale della città, a Porta Barete. Vada un vivo plauso al Mibact per i restauri attuati finora e per il bel recupero in corso delle Mura Urbiche con riscoperta e riapertura di Porte prima ignorate, ed a Cesare Ianni dell’attivissimo Gruppo di azione civica Jemo ‘nnanzi per la proposta, raccolta con entusiasmo dalle varie associazioni culturali, dell’adozione, da parte di ognuna di esse, di tratti di Mura. Questa geniale profferta dimostra quanto intensamente la cinta muraria trecentesca sia avvertita dagli Aquilani come uno degli elementi costitutivi più potenti dell’identità storica e civica della comunità e come quindi il suo completo recupero assurga ad uno dei più impattanti cardini della ricostruzione. Monumenti ricostruiti dov’erano e com’erano, oggi splendenti a nuova luce, fra vent’anni cominceranno a riappannarsi. Saranno proprio la cinta muraria e le Porte recuperate, in primis l’antemurale di Porta Barete con contestuale rimozione del terrapieno di via Roma, a testimoniare vistosamente che una ricostruzione post-2009 non solo c’era stata, ma era stata di qualità».
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