Urla alla moglie: «Sei una mantenuta», poi la prende a testate. A processo ufficiale delle forze armate

Un'aula di tribunale
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Giovedì 24 Settembre 2020, 07:05
Urla alla moglie «Sei un parassita, una mantenuta» e poi la prende a testate sul naso. E’ iniziato ieri mattina davanti al collegio del Tribunale di Viterbo il processo per maltrattamenti in famiglia a un ufficiale delle forze armate, al momento di stanza nel capoluogo.

L’uomo, secondo quanto denunciato dalla moglie, avrebbe messo in atto quotidiane vessazioni psicologiche e sporadicamente fisiche.  «Ci siamo sposati sette anni fa - ha raccontato la donna in aula - e siamo subito partiti per l’estero. Io ho lasciato il mio lavoro per stare con lui. Fin dall’inizio non mi ha mai permesso di aver dei soldi. Lui doveva avere il controllo di tutto».

La vittima, una quarantenne, ha sopportato in silenzio per anni angherie e assoggettamento psicologico, fino alla primavera del 2019. «Il 7 maggio - dice ancora la donna - sono andata in ospedale dopo che lui, al termine di una discussione per il cambio di un paio di pantaloni per nostro figlio, mi ha preso a testate. Ho avuto paura e alla fine mi sono convinta e ho presentato denuncia in Questura». Le testate sul volto però sono solo l’ultima goccia a far traboccare il vaso.

«Per anni non ho avuto la possibilità di prendere un autobus, nemmeno quella di fare la spesa. Non potevo comprarmi niente. Era lui che decideva, lui che poteva spendere. Non mi faceva nemmeno mangiare la carne rossa, mentre faceva compere io dovevo aspettare in macchina. La mattina mi lanciava due euro per comprare la merenda al bambino, come si fa con l’osso ai cani. Fino a che siamo stati all’estero ho sopportato, anche se a volte mi metteva le mani sul collo e mi diceva che mi avrebbe uccisa. Quando siamo venuti a Viterbo e abbiamo preso un appartamento militare la situazione è peggiorata».

La donna in quel periodo ha iniziato a scrivere un diario, dove ha annotato tutti i soprusi e le angherie e ha iniziato a scrivere alle associazioni che tutelano le donne. «Era il 2016 - ha detto ancora - eravamo appena tornati e io volevo vaccinare nostro figlio. Ma lui, no vax, non era d’accordo. Sono dovuta ricorrere a un giudice per far fare le vaccinazioni tra l’altro obbligatorie. E una sera, dopo un’accesa lite, ha tentato di strangolarmi».

A quel punto la donna ha chiamato i carabinieri «e lui si è messo anche a ridere, dicendomi che i suoi colleghi non gli avrebbero fatto niente. Vivo nel terrore e nella vergogna. Avevo paura che denunciandolo mi avrebbe portato via mio figlio e non volevo fare niente. Ho sms in memoria dove mi scriveva: ci tieni al tuo viso».

La donna dopo l’ultimo referto medico è entrata nel percorso rosa ed è seguita dall’associazione Erinna. Presente ieri mattina in aula.
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