PERUGIA - «Il decesso del dottor Stefano Brando costituisce una vicenda inquadrabile nelle tragiche, ed inevitabili, conseguenze dell'epidemia in essere nel nostro Paese da oltre un anno accomunandola alle altre analoghe che in maniera virulenta in tale periodo si sono ripetute. L'assenza di terapie aventi un connotato di efficacia generale e risolutiva, proprio perché riguardanti gli effetti di un vettore sconosciuto difficilmente contrastabile (sino almeno al recente rimedio vaccinale), ha imposto protocolli basati su dati via via rilevati e, pertanto, comportanti una ridotta sperimentazione – in tempo reale -, nonché resi ancor più problematici a fronte di una serie di effetti ed esiti che delineano un quadro medico estremamente differenziato ed articolato, mutevole da soggetto a soggetto».
Così il procuratore aggiunto Giuseppe Petrazzini, chiedendone l'archiviazione, pone fine alla vicenda giudiziaria legata alla dolorosa scomparsa di Stefano Brando, il medico – primo in Umbria – ucciso dal Covid lo scorso 19 novembre, a tre settimane dalla diagnosi di positività. Una morte inaspettata, drammatica, troppo veloce per poter essere quanto meno metabolizzata e che ha convinto la famiglia a presentare un esposto, chiedendo se quel decesso potesse essere evitato. La procura, a fronte delle cinque telefonate in cui il dottore aveva chiesto il ricovero, aveva aperto un fascicolo per omicidio colposo a carico di ignoti. Chiedendo una perizia che in effetti aveva negato la responsabilità prima degli operatori del 118 e poi dei medici che lo avevano avuto in cura, affidando anche le dovute verifiche ai carabinieri del Nas. Un parere che i consulenti di parte della famiglia avevano invece rigettato, stabilendo che il ritardo nel ricovero di Brando, 62 anni, avesse limitato la possibilità di salvargli la vita. Il professor Vittorio Fineschi e il medico legale Matteo Scopetti, dopo aver citato la «difformità delle condotte sanitarie» sui tempi del ricovero, avevano rammentato nella loro relazione «come il trasporto in ambiente ospedaliero fu attivato solo in data 26.10.2020, allorquando la saturimetria mostrava valori critici pari a 82% e 86%. Una simile disfunzionalità respiratoria mostrava i prodromi già dai giorni precedenti (…); tuttavia nulla valse ad indurre il corretto inquadramento del Brando come paziente a rischio di evoluzione sfavorevole con prognostico negativo. In forza delle più accreditate evidenze scientifiche di settore, il ricovero ospedaliero rappresentava la modalità assistenziale da intraprendere con priorità in un paziente gravato da probabilità maggiori di un pessimo outcome (soggetto di 62 anni affetto da diabete mellito)».
Una conclusione che la procura non ha considerato valida, facendo propri i risultati dei propri esperti Antonio Oliva, Vincenzo Arena e Andrea Arcangeli, e inquadrando il dramma della famiglia Brando nei tanti casi «inevitabili» dovuti a una pandemia che all'improvviso ha sconvolto la vita in tutto il mondo.
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