L'odissea di una mamma immunodepressa: «Cinque giorni per un tampone a mio figlio, a casa con la febbre alta»

L'odissea di una mamma immunodepressa: «Cinque giorni per un tampone a mio figlio, a casa con la febbre alta»
di Egle Priolo
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Martedì 29 Settembre 2020, 19:24
PERUGIA - PERUGIA Una mamma immunodepressa, un figlio con febbre alta e l’odissea per fare un tampone. Silvia è stata costretta a vivere con il panico coronavirus per 5 giorni.

Un’odissea. Non solo per levarsi il dubbio più inquietante, ma – dolorosamente più banale – per la gestione in casa di un possibile positivo, tra le condizioni di salute di una madre in ansia e l’altra figlia che va a scuola per stare cinque ore in classe con altri venti bambini. Abbastanza, insomma, per far scattare la rabbia di Silvia. Per quei cinque giorni ad aspettare di ottenere un tampone. È domenica sera quando Silvia chiede di poter raccontare la sua storia, poi affidata anche ai social network, per raggiungere più gente possibile. Un vero diario di bordo della sua paura ai tempi del Covid. «Inizio dell’odissea giorno 22 settembre ore 15.45 – spiega -. Thomas con febbre a 38.5, chiamo la pediatra che mi dice di attendere 24 ore. Mercoledì 23 settembre ore 16 richiamo la pediatra perché la febbre è ancora alta. La dottoressa mi riferisce che non ho l’obbligo di far fare il tampone al figlio, ma visto che io sono immunodepressa, ho il suocero con l’ossigeno e una madre allettata decido di richiedere il tampone. Parte la segnalazione e aspettiamo. Intanto la febbre resta sui 39 e il bambino perde il senso del gusto. Giovedì tutto tace. Venerdì vengo contattata dal centro salute che mi dà appuntamento per lunedì mattina per il tampone. Imploro l’operatrice di non farmi aspettare tutto questo tempo e lei mi risponde che il sabato è dedicato alle urgenze e quindi nessuno potrà venire a fare il tampone. Chiedo se questa non sia un’urgenza. Evidentemente no». La rabbia di Silvia ha ormai superato i livelli di guardia, ma lei tiene duro. «Richiamo la pediatra che mi spedisce al drive through di piazzale Europa per fare il tampone. Carico mio figlio in auto e andiamo su. Dieci auto in fila che scorrono velocemente. Arriva il nostro turno e spiego la situazione: appena dico che il figlio ha la febbre mi iniziano a urlare contro come se fossi una delinquente e mi intimano di andar via immediatamente». Non è evidentemente questa la risposta che Silvia si aspettava, ma per paura di una denuncia torna a casa e chiama la pediatra, per chiedere se potesse venire a visitare Thomas. Ma la dottoressa dice che non è possibile. «Quindi? Che devo fare – si chiede la mamma -? Se non fosse Covid ma magari polmonite lo lascio abbandonato a se stesso? Che faccio do l’antibiotico in via precauzionale? No, meglio di no».

L’ansia sale ma alle «ore 17 mi richiamano dal centro salute. Mi danno appuntamento per il tampone lunedì ore 8. 30 a piazzale Europa. C’è un lungo silenzio da parte mia e poi l’apoteosi. Ribadisco che il bambino ha 38 di febbre e che se non mi mandano qualcuno il giorno seguente avrei chiamato i carabinieri. Un minuto di attesa e appuntamento fissato per il giorno dopo. Sabato ore 11.54 arrivano a casa a fare il tampone. Durata dell’intervento 30 secondi. La sera avrei potuto scaricare la risposta. Per fortuna tampone negativo». Domenica, insomma, l’odissea è terminata, ma la rabbia resta. Con qualche considerazione che Silvia non riesce proprio a ricacciare giù. «Se ti serve il tampone – sottolinea - devi minacciare gli operatori, tu però puoi andare a lavorare, lasciando tuo figlio minore a casa con febbre alta. Se hai altri figli puoi tranquillamente mandarli a scuola, poi però se il tampone fosse positivo avremmo fatto chiudere due scuole. Tuo figlio ha febbre alta? Lascialo morire solo nel letto perché nessun pediatra viene a casa a visitarlo». Silvia quindi punta il dito sulla gestione quanto meno particolare del suo caso. E chiude il suo lungo sfogo (dopo aver ringraziato «Anna dell’istituto analisi Malpighi di Castel del Piano per l’aiuto e il supporto che mi ha dato») con poche parole rivolte agli altri genitori: «Vi auguro solo una cosa. Che nessuno dei vostri figli prenda mai un’influenza. È davvero il più grande augurio che possa farvi. In bocca al lupo a ognuno di voi».
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