Per quanto Barberini si sia sforzato di snocciolare cifre di ogni genere per smentire il depotenziamento di Terni, nessuno dei presenti è caduto nel gioco dei numeri. Specie se vige la regola del global budget, come in Umbria. Un sistema che alla fine permette sempre di far quadrare i conti tra Usl e Aziende ospedaliere. Un meccanismo perfetto per il consenso, meno per la programmazione, come osserva Pardini. «La vera sfida è una riforma istituzionale della sanità regionale», dice il primario di cardiochirurgia che domani andrà in pensione lasciando vacante la guida di uno dei cinque reparti di alta specializzazione di Terni che attira pazienti da tutta Italia. Il modello da seguire è quello di regioni virtuose come Lombardia, Emilia Romagna e Toscana. Calato sull'Umbria, e in particolare su Terni, vuol dire che gli ospedali di Narni-Amelia e Orvieto (gestiti dalla Usl Umbria 2) devono far parte del Santa Maria di Terni (Azienda ospedaliera dal 1995). «L'ospedale deve fare l'ospedale, l'Usl deve occuparsi di fare l'Usl», dice Pardini. Sembra un'ovvietà che nei fatti non è così. «Non è pensabile un modello che prevede tre costi differenti per una appendicite in tre strutture diverse: Terni, Narni-Amelia e Orvieto», entra nel merito Pardini. «Così come è una contraddizione che un'azienda di alta specializzazione come Terni spenda mille euro al giorno per la rianimazione post operatoria di un paziente che invece dovrebbe essere preso in cura in centro di riabilitazione», aggiunge. Al contrario in Umbria è stato tutto un fiorire di nuovi ospedali territoriali che hanno seguito troppo la logica dei campanili. «L'importante non è dove un paziente viene operato, ma chi lo opera, la professionalità che viene tutelata. Solo così possiamo garantire la sicurezza delle cure», osserva Coccetta che non a caso cita il tema della chiusura dei punti nascita per farsi capire meglio. Più esplicito, come nel suo stile, Pardini: «L'Umbria è stata riempita di ospedali inutili affidati alle Usl che al contrario dovrebbero occuparsi delle fase di preospedalizzazione e post ospedalizzazione».
La terza via Il sistema regionale da rivedere, i modelli virtuosi da importare, ma esiste anche una terza via, quella che propone la Cisl dell'Umbria. «Una riforma non orizzontale, ma verticale, che qualifichi ulteriormente Terni per l'alta specializzazione». Nessun derby, ma occhio alla penna. Altrimenti nel modulo calcistico della sanità, una Usl due Usl, un'Azienda due Aziende, la città dell'acciaio rischia di finire in fuorigioco. «Se è vero come dice lui che il piano è solo una bozza, bandisca subito le gare per i primariati di neurochirurgia e cardiochirurgia», dice Feliziani riferendosi a due reparti di alta specializzazione che rischiano di finire nel dimenticatoio. O peggio, essere risucchiati dal gioco delle convenzioni come nel caso di neuroradiologia dopo l'addio al veleno della dottoressa Nevia Caputo.
«La convenzione con Perugia è solo l'inizio dello smantellamento dell'alta specializzazione», mette in guardia Pardini. Con il rischio che siano i pazienti a pagare il conto più salato. «Una donna da Norcia è stata trasporta a Terni per poi essere trasferita Perugia perché al Santa Maria neuroradiologia non garantiva il servizio. Questo la dice lunga anche sulla regia delle emergenze», sottolinea Coccetta.
Preoccupano le scelte future, ma pesano quelle fatte. Passato ai raggi x il Santa Maria, sono tutti concordi nell'affermare che «i problemi sono iniziati da tre anni a questa parte», denuncia Giocondi. «Ci sono già tre primari di urologia, ma si bandisce un quarto posto. Una sorta di record mentre altri reparti in alcuni casi restano senza timone addirittura da anni», denuncia Giocondi. «Quando Dal Maso si è presentato ha parlato di un progetto di ospedale di cura che in pochi hanno capito e nessuno ha visto realizzato», rincara la dose Giocondi. «Le parole della Caputo che ha parlato di clima irrespirabile prima del suo addio la dicano lunga», conclude il presidente del Tribunale del Malato. «Ho trovato davvero sgradevole far capire che il collega Carletti ha lasciato il Santa Maria per motivi di soldi quando in realtà aveva chiesto solo delle modifiche all'organizzazione del reparto di neurochirurgia per pianificare meglio le operazioni», conclude amareggiato Pardini.
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