Perugia, giovane mamma muore durante intervento chirurgico in clinica: il pm vuol processare l'anestesista

Il tribunale di via XIV Settembre
di Enzo Beretta
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Sabato 23 Settembre 2023, 08:12 - Ultimo aggiornamento: 08:36

Rinvio a giudizio oppure proscioglimento. Non esistono altre strade percorribili poiché nel corso dell'udienza preliminare non sono state avanzate richieste di riti alternativi. Nell'udienza del 3 ottobre il gup di Perugia Margherita Amodeo deciderà se il medico anestesista della clinica privata Villa Fiorita di Perugia finito sotto inchiesta in seguito alla morte della paziente Ioana Lingurar, la giovane mamma di 29 anni deceduta il 23 gennaio 2021, merita di essere processato.

Il medico, 77 anni, originario di un paesino dell'Irpinia (difeso dall'avvocato Delfo Berretti), viene ritenuto responsabile dal pm Gennaro Iannarone del reato di omicidio colposo: «Ha cagionato per colpa, consistita in imprudenza, negligenza e grave imperizia, la morte» della giovane «agendo in violazione delle raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate dalla legge, nonché delle buone pratiche clinico-assistenziali adeguate alle specificità del caso concreto». In particolare il 22 gennaio «nel corso di un intervento chirurgico di artroscopia di anca in anestesia spinale presso la Casa di cura Villa Fiorita, il medico anestesista, omettendo di rilevare adeguatamente i parametri clinici della paziente durante la procedura anestesiologica (pressione arteriosa, frequenza cardiaca, saturazione di ossigeno), nonché di attuare un monitoraggio elettrocardiografico durante la fase intraoperatoria, ritardava il rilevamento dei dati elettrocardiografici e diagnosticava tardivamente che, nel corso dell'intervento chirurgico, la paziente era entrata in arresto cardiorespiratorio».

Prosegue la richiesta di rinvio a giudizio: «Non operando il monitoraggio di base durante la procedura anestesiologica non diagnosticava tempestivamente il tipo di aritmia cardiaca e non poneva in essere adeguata terapia in ordine alla specifica tipologia della aritmia, rilevando l’insorgenza del problema solo al comparire di segni clinici e a seguito del posizionamento degli elettrodi».

Inoltre «non disponendo nell'immediatezza dei presidi necessari per affrontare prevedibili situazioni di urgenza ritardava ulteriormente il trattamento della paziente nella fase post-arresto cardiaco; ritardo che determinava nella persona offesa un danno neurologico post-anossico». Secondo l’accusa «procedeva erroneamente alla estubazione della paziente, pur essendo la stessa in coma profondo, contravvenendo ai comuni schemi di trattamento che prevedono la permanenza della intubazione orotracheale, particolarmente durante il trasporto verso il reparto di rianimazione». 

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