Talento e irriverenza: a Uj
irrompe Benjamin Clementine

Talento e irriverenza: a Uj irrompe Benjamin Clementine
di Michele Bellucci e Fabio Nucci
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Giovedì 19 Luglio 2018, 01:03 - Ultimo aggiornamento: 23 Luglio, 23:41

PERUGIA - Una dozzina di manichini femminili, senza nulla indosso, piazzati sul palco e rivolti verso i musicisti. La prima di queste "donne" immobili, l'unica che rivela un volto, mostra un grembo da partoriente. Luci rosse e fumo che sale tra gli strumenti. Tre, lo stesso numero di chi li sta suonando: batteria, chitarra e pianoforte. È in piedi e pesta sui tasti bianchi e neri il protagonista di questa nottata. Benjamin Clementine, vestito di bianco e scalzo, inizia la serata con la ruvida Ave dreamer che mette subito in luce la sua vocalità eclettica. Chiede al pubblico un po' di sostegno e, nel volgere di un istante, l'area sotto al palco si popola mentre le sedie piazzate in platea restano sullo sfondo. Il pubblico non è abbondante, ma siamo a metà settimana e, vista anche la giovane età dei due headliner di questa serata, si può ritenere comunque un buon riscontro.

"Wish you all the best, enjoy your life", apostrofa senza ipocrisia il drappello di persone che decide di lasciare l'Arena dopo pochi minuti di live. Clementine mostra tutta la sua sfacciataggine per trovare un'intesa col pubblico e, attaccando London uno dei suoi brani più trascinanti, riesce a creare la giusta empatia con l'audience di Uj che segue il tempo con le mani. "Linguine, gnocchi, frutti di mare, gorgonzola, carne... mangiare", si spericola nel pronunciare alcune parole in italiano e poi canta la sua Jupiter inserendo "Perugia" e "Italia" nel testo. "Spero che l'Italia sia libera, spero che Perugia sia felice". Chi voleva andarsene è già oltre i cancelli, ma la maggioranza del pubblico è ormai rapito e inizia il vero spettacolo. L'artista franco-inglese tira fuori la sua voce a tratti incerta ma che pare ad ogni nota giungere dal profondo, capace di colorare il sound minimale e potente del suo trio con mille sfumature. C'è spazio per una danza tribale girando intorno ai manichini sopracitati, poi Benjamin chiama tutto il pubblico sotto il palco e alza ancora il ritmo con Better Sorry than Safe.

A tratti il concerto assume i contorni del rito voodoo, ricordando addirittura Screamin Jay Hawkins nel suo atteggiamento da Gran cerimoniere. È già passata mezzanotte da oltre venti minuti quando si tocca uno degli apici con Adios. Poi provoca ammettendo "mi piacciono i festival jazz, peccato che io non suono jazz"; a questo punto diventa coerente anche sentirlo intonare Caruso da solo all'organo. Il pubblico reagisce positivamente. Resta solo sul palco per la struggente I Won't Complain. Saluta ed esce, ma l'insistenza nella richiesta del bis lo costringe a cantare ancora. Sceglie la sua Gone, cantata con estrema intensità, come a voler mettere un punto ad uno show sopra le righe: Benjamin Clementine ha tutte le caratterisiche per divenire una leggenda, compresa l'invadente inquietudine che lo accomuna a molti poeti di ogni epoca. Sulle note di By the Ports of Europe si chiude una serata anomala per Umbria Jazz ma non per questo meno emozionante.

La prima parte della serata è stata affidata invece a Somi, interessante artista di origini africane che ha regalato al pubblico un live in grado di unire le sonorità del jazz di stampo americano a sfumature roots.

La sua sensibilità politico-sociale, con un impegno che da anni concretizza attraverso l'organizzazione no-profit New Africa Live, è emerso con frasi e momenti di riflessione. Uno tra tutti l'omaggio alle donne africane, con la mente alla foto che oggi ha girato su tutte le testate del mondo con lo sguardo agghiacciante della sopravvissuta. Un silenzioso grido d'aiuto che Somi, grazie alla sua arte, ha trasformato in un messaggio di solidarietà.

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