Il profilo dell'utente medio dei social che è emerso dall'incontro è di una persona che vuole essere multitasking, che utilizza involontariamente le strutture pubblicitarie di conquista dell'attenzione globale, attraverso la propria presenza social, ma che frammentando la propria attenzione miniaturizza l'esperienza.
Un esempio sono i cosiddetti influencer o, in particolar modo, chi li segue con l'ambizione di arrivare a determinati risultati: facendo personal branding, determinati personaggi attirano persone simili, grazie all'aiuto dell'algoritmo di Facebook che alimenta l'interazione fra chi condivide contenuti simili, ponendo gli utenti in cosiddette echo chambers.
«Gli ssicologi sanno che “attenzione” vuol dire tre cose: capacità di orientamento; impegno; selezione. Cosa ci guida in questa scelta? - chiede Paola Liberace - È la nostra identità. Noi scegliamo come oggetto di attenzione ciò che ci riguarda ed è oggetto della nostra identità». Come nel paradosso del cocktail party: «C'è una festa in cui c'è molta confusione. A un certo punto qualcuno ci chiama e noi in tutto quella confusione, siamo capaci di riconoscere il nostro nome e prestare attenzione – dice Pelagalli - Richiamare la nostra identità suscita un'emozione che nient'altro è in grado di suscitare. Più ci sentiamo confermati meno usciamo da questo giro». «A fronte della enorme quantità di mezzi di informazione, vi è un overload di tutto – risponde Contri - Cosa fa la gente comune per reagire? Si butta in una sorta di gestione multitasking che abbiamo chiamato la costante attenzione parziale. Le persone dedicano sempre più piccola porzione di attenzione a 6o 7 cose contemporaneamente. Chi incamera frammenti rielabora frammenti e questo ricade sull'editoria e sull'audience».
Tomassini rilancia e alimenta le tesi sui paradossi parlando di “psicometrica”, ovvero quella serie di algoritmi che studiano i comportamenti sociali online e che gestisce il valore dei dati dei social network: «Tutto viene profilato per scopi pubblicitari ma anche per altri modelli. In pratica siamo come dei lavoratori per ogni singolo social e la valorizzazione di quei dati è molto alta. In politica, nelle ultime elezioni americane sono stati utilizzati algoritmi di psicometrica per influenzare i modelli di pensiero in rete».
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