Come i media influenzano la società: per un’ecologia dell’informazione

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Lunedì 22 Maggio 2023, 10:09 - Ultimo aggiornamento: 31 Maggio, 14:00

Una riflessione sulla pervasività dell’informazione per ribadire l’importanza di un atteggiamento critico nei confronti della realtà che ci circonda

La psicologia sociale, sin dai tempi di Gustave Le Bon (1841- 1931), ha inciso profondamente sulla nostra storia; in particolare, sulle teorie relative alla manipolazione mentale delle persone. E questo vale per ogni argomento. Ogni tema può essere “drammatizzato” dal sistema dei media: non solo la cronaca nera! I mass media si avvalgono della “Fear arousing Communication”, la quale prevede una componente ansiosa, ovvero una minaccia individuale o sociale e, al contempo, una soluzione utile per allontanare la minaccia. Anche quando si parla di welfare: prevale l’indicazione dei rischi e dei pericoli a cui ci si espone, piuttosto che le opportunità e le positività possibili. Attraverso la “Fear arousing Communication” è possibile coinvolgere la massa, facendo leva sulle sue paure e insicurezze. Potremmo dire e ripetere la frase con cui Humphrey Bogart conclude “L’ultima minaccia”: “È la stampa, bellezza! E tu non puoi farci niente! Niente!”. Subìre passivamente le notizie provenienti dai mass media, la frequenza delle informazioni ansiogene, sottoposte a ritmi sempre più incisivi e incalzanti in televisione, ma soprattutto l’iperconnettività della società odierna, comporta che la paura si trasforma nel terrore per un grande choc collettivo: la società, di conseguenza, perde ogni capacità critica e la si può orientare a piacimento, fino a farle rinnegare valori
radicati.

Ci sono casi clamorosi, altri più ordinari. A esempio, prima dell’11 settembre, la libertà individuale e la protezione dall’invadenza dello Stato erano i valori fondamentali dei cittadini statunitensi; dopo gli attacchi alle Torri Gemelle quei valori precipitarono nei sondaggi, condizionati dal perseguimento della sicurezza anche a costo di rinunciare a libertà individuali e costituzionali, come avvenne con l’approvazione del Patriot Act (2001). Su questi temi si sviluppa la riflessione di Marcello Foa, nel suo libro “Il Sistema (in)visibile. Perché non siamo più padroni del nostro destino”, dove ci ricorda l’importanza di uno dei massimi esperti di condizionamento mentale, ossia, Steven Hassan. L’autore americano, nel suo libro “Combating Cult Mind Control, Freedom of Mind Press”, afferma che le società virtuose promuovono uguaglianza, “checks and balances”, ovvero controlli e contrappesi, mirano a formare individui liberi, puntano sulla crescita. Quelle distruttive, invece, sono tendenzialmente autoritarie, preferiscono metodi ingannevoli e manipolatori nei confronti dell’opinione pubblica, spingono gli individui all’uniformità e i suoi leader antepongono il proprio potere al bene comune e limitano la libertà di scelta.

Purtroppo, spesso il cittadino è privo di capacità analitiche e di competenze, raramente trova supporto nella stampa.

Con qualche nobile caso che contraddice la tesi, come la testata che ci ospita. Inoltre, la nostra società si rivela sempre più caratterizzata dalla condizione di dissonanza cognitiva: fenomeno elaborato dallo psicologo austriaco Leon Festinger, ovvero in uno stato di contrasto esistenziale tra quel che vorremmo fare in base ai nostri valori e quel che siamo indotti a fare. La dissonanza cognitiva comporta delle conseguenze: cercare un capro espiatorio, attribuendo ad altre persone la responsabilità di quel disagio, negare il problema, adeguarsi al sentire comune, schiacciati dalla paura di essere esclusi (fear of missing out), cercare bias di conferma, ossia, elementi che consentano di negare l’evidenza confermando la validità del proprio comportamento o pensiero, anche quando incongruente.

La soluzione più logica sarebbe cambiare le proprie convinzioni, ma risulta essere la più complicata, perché implica una valutazione complessiva di sé stessi (Cherry K., “What Is Cognitive Dissonance?”). Per non parlare della nostra capacità di ingannare noi stessi, perché “è preferibile sprofondare nell’oblio piuttosto che affrontare fatti minacciosi” (Daniel Goleman). Purtroppo, i fatti dimostrano che siamo ancora molto lontani dalla creazione di un “pensiero libero”, sia che si parli di pensioni, sia che si discuta di politica; sia che si diffondano informazioni sulle forme di protezione sociale, sia che ragioni sul futuro economico.

L’evoluzione recente non è incoraggiante, basti pensare allo schema che si è ripetuto con la crisi del Covid. Alcuni scienziati americani parlano di una seconda pandemia entro il 2025 e questo sta già creando tensione. Potrebbe essere utile sensibilizzare le persone al pensiero critico, informato ma libero, per dar luogo a una società di persone realmente “pensanti”, e accendere quei famosi “lampi” di coraggio intellettuale di cui parla Marcello Foa nel suo libro. Una forma di educazione all’informazione che riguarda tutti, produttori di contenuti e utenti: il circolo virtuoso di una buona informazione coinvolge tutti. A partire dai temi che sembrano meno caldi o divisivi. Come il welfare, Come quello di cui si occupa questa testata. Il B2B aiuta? Forse. Ma l’impegno vale per tutti.

Valentina Pelliccia

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