Monica Riccioni, Ceo di Think Cattleya: «A scuola di Ia, la nuova rivoluzione industriale»

L'Ad ha avviato un corso per i dipendenti. «Dobbiamo avere il controllo per sfruttare le potenzialità della tecnologia nel rispetto dei nostri valori»

Monica Riccioni, Ceo di Think Cattleya: «A scuola di Ia, la nuova rivoluzione industriale»
di Alberto Gentili
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Mercoledì 20 Marzo 2024, 12:18 - Ultimo aggiornamento: 21 Marzo, 07:41

«L'intelligenza artificiale è un’opportunità, non una minaccia».

Monica Riccioni, Ceo di Think Cattleya, la casa di produzione pubblicitaria poliedrica del gruppo Cattleya che tra l’altro ha prodotto gli spot con Jennifer Lopez per Intimissimi e con Chris Cunningham per Gucci, non teme l’IA. Però, per aiutare i propri dipendenti ad affrontare l’ennesima “rivoluzione industriale”, da un paio di mesi ha avviato un corso ad hoc in azienda. Lo scopo: «Vogliamo dimostrare che l’IA è una nuova tecnologia guidata dall’uomo e che è importante conoscerla a fondo per averne il controllo e sfruttarne le immense potenzialità, nel rispetto dei nostri valori».

L’intelligenza artificiale terrorizza, secondo uno studio americano, un lavoratore su tre. E in Italia il 77% dei liberi professionisti vede l’IA come un nemico.
«I mestieri e i lavori con l’intelligenza artificiale cambieranno, come sono cambiati ad esempio con l’avvento di Internet. Il segreto è riuscire a conoscere e dunque a gestire e guidare la nuova tecnologia. Le regole e i controlli ci sono: l’Unione europea ha appena approvato l’IA ACT ma periodicamente ha sempre fornito delle linee guida per l’utilizzo responsabile e consapevole dell’IA. L’importante in ogni caso è comprendere e creare una competenza specifica: così si può governare il cambiamento senza essere travolti da quella che viene chiamata AI anxiety». 
È per questo che avete organizzato i workshop in azienda? 
«Sì. Abbiamo deciso di creare una competenza specifica, di essere competenti. E tutti i dipendenti, me compresa, mostrano un grande interesse. Certo, c’è anche chi è scettico, chi manifesta stupore, ma vedo entusiasmo nell’approccio a questa nuova tecnologia che ci fa crescere nella nuova conoscenza».
Di fatto insegnate a utilizzare l’IA? 
«Esattamente. All’inizio ognuno aveva un proprio approccio, provava ad applicare in modo autodidatta l’IA: le prime immagini, i primi disegni, le prime voci. Poi abbiamo capito che andava avviato un percorso di formazione ben strutturato. Così un paio di mesi fa abbiamo cominciato i workshop, anche per essere meno ingenui e capire quanto possiamo fare, quanto possiamo aumentare grazie all’IA il potenziale delle nostre idee. Ad esempio lavoriamo molto sulla velocità, ottimizzando i tempi e questo ci dà l’opportunità di avere più tempo e più spazio per il nostro processo creativo». 
Gli esperti consigliano di utilizzare dei case study di successo per far capire ai dipendenti le potenzialità dell’IA. Voi lo state facendo? 
«È nei nostri programmi. E già adesso analizziamo quanto sia fondamentale il controllo dei dati e delle informazioni da cui attinge l’IA. C’è il rischio di fake news anche qui». 
Non c’è il pericolo che nel suo settore ad alto tasso di creatività l’IA crei illustrazioni o narri storie che potrebbero fare i suoi collaboratori? 
«No. Le persone sono e resteranno centrali all’interno del processo creativo. Con l’IA integri, sviluppi dati, ottieni notizie e algoritmi con maggiore velocità. Ma alla fine il progetto finale è formulato da te e sarà sempre diverso da quello di un competitor proprio grazie al proprio contributo creativo». 
Anche perché altrimenti tutti i prodotti sarebbero omologati. Giusto? 
«Certo. Se non interpreti l’IA, alla fine il risultato sarebbe omologato a quello di altri. Ciò che rende unico un processo creativo è il lavoro del team. L’IA si limita, grazie alla grande mole di informazioni che fornisce, a integrare e a incrementare le tue potenzialità. Insomma, alla fine l’IA è uno strumento utile e prezioso. Perciò dobbiamo superare l’approccio negativo, la paura, e imparare e usare l’intelligenza artificiale come un aiuto, continuando a credere delle nostre idee e dunque nella nostra creatività. Sempre nel rispetto delle regole e dei valori». 
Negli Usa c’è allarme: i lavori più semplici, di entry level, delle agenzie di comunicazione e delle case editrici vengono affidati all’IA. Accade anche in Italia? 
«Per le illustrazioni anche noi, nella fase di preparazione, abbiamo utilizzato l’IA in quanto più veloce. Ma mai uno spot è stato prodotto senza che il nostro processo creativo non fosse determinante per il risultato finale». 
Quindi niente spot con Jennifer Lopez e con Chris Cunningham creati dall’IA? 
«Al momento proprio non è proprio possibile.

Non ci sono dati dell’IA che permetterebbero di realizzare uno spot simile senza Lopez o Cunningham. L’IA ancora è indietro, ma non so per quanto tempo e come evolverà».

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