Addio “Delilah” nel Sei Nazioni: la federazione del Galles, la nazione in cui il rugby e i canti dei cori sono religioni strettamente intrecciate in maniera senza eguali al mondo, ha cancellato la canzone-emblema di Tom Jones che da oltre 50 anni era diventata l’inno ufficioso dei Dragoni e dei loro fedeli. Dal 2015 la ballata della star gallese più nota era stata “sospesa” dalla playlist dell’intervallo dei match al Principality Stadium, l’enorme impianto con tetto retrattile al centro (fate conto Piazza di Spagna) di Cardiff, un’arena costruita con i criteri di una sala da concerti perché i gallesi dei cori proprio non possono fare a meno: è materia di studio già alle elementari. Ieri l’epitaffio definitivo dell’Union: “Delilah” via anche dal prepartita e invito ufficiale ai tifosi a non intonarla.
Sarà così? In pochi ci credono e domani, per Galles-Irlanda, si annuncia una notevole sfida perché non si riescono a immaginare i 72.499 tifosi (il posto 72.500 è per il Principe di Galles) che sostengono i “rossi” senza quel ritornello struggente e trascinante.
Si è invece salvata negli stadi del rugby inglese l’amatissima versione pop dello spiritual “Swing low sweet chariots”, canto degli schiavi afroamericani: dopo forti polemiche anche i giocatori di colore della nazionale hanno detto che si può mantenere se si spiega il contesto storico che diede origine a quella canzone.