Intervista a Contador: «Così cambio il ciclismo»

Intervista a Contador: «Così cambio il ciclismo»
di Francesca Monzone
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Domenica 18 Novembre 2018, 10:30
Alberto Contador, uno dei corridori più importanti degli ultimi quindici anni (due successi al Tour de France, altrettanti al Giro d’Italia e tre alla Vuelta), chiusa la carriera da professionista, ha lanciato un progetto dedicato ai giovani talenti. Grazie alla sua fondazione e alla collaborazione con Ivan Basso quest’anno è nata la Polartec Kometa, squadra continentale italo-spagnola. La presentazione ufficiale lo scorso febbraio a Pinto, città natale del corridore madrileno, e giovedì scorso a Roma, presso lo store della Trek. 
Come nasce la Polartec Kometa? 
«Dalla mia fondazione, che si occupa di sostenere la ricerca e fare prevenzione sull’ictus e altre malattie similari. Ho iniziato con una squadra di ciclismo juniores e under 23; adesso, grazie all’aiuto di Ivan Basso, il progetto iniziale è cresciuto con il supporto della Trek».
Perché si occupa di queste patologie? 
«Nel 2004 durante il Giro delle Asturie sono stato colpito da ictus e ho rischiato di morire. Nei giorni precedenti alla corsa avevo avuto dei sintomi, ma per ignoranza non li avevo capiti. Ora, nella testa ho due placche di titanio. La mia fondazione nasce per insegnare alla gente cos’è un ictus, come prevenirlo e come aiutare nella riabilitazione». 
Da quel 2004 quanto è cambiata la sua vita?
«Tantissimo. Mi sento un uomo fortunato e la mia vittoria più bella in carriera è stata al Tour Down Under nel 2005 appena rientrato dalla riabilitazione». 
Quanto è stata importante la sua famiglia?
«Fondamentale. Ho una famiglia molto unita. Mio fratello è disabile, ha bisogno di aiuto costante e stare con lui mi ha insegnato tanto. Mia madre, poi, mi ha insegnato molto anche sul ruolo del genitore. Il mio progetto prende spunto anche da questi valori».
In che modo? 
«Voglio ridare al ciclismo , e ai giovani corridori, valori quali sacrificio, lealtà e onestà, che mi hanno aiutato a diventare un grande corridore». 
Nella sua squadra c’è tanta Italia.
«Ho corso con Ivan Basso, conosce i ragazzi e sa fare il dirigente. Poi, ci sono corridori italiani come Samuele Rubino Stefano Oldani, Antonio Puppio e Moschetti, ora passato alla Trek-Segafredo».
Che rapporto ha con l’Italia?
«Sono molto legato al vostro Paese. Ho vinto il Giro nel 2008 e nel 2015. Il primo trionfo è stato anche il mio primo successo in un grande giro e ha ancora un sapore speciale». 
Potrebbe esserci una licenza Professional o World Tour? 
«Sarebbe bello ma bisogna avere grandi sponsor per sostenere costi cpsì importanti. Nei prossimi giorni ne presenteremo altri due italiani che credono nel nostro progetto. Per ora va bene così, ma più in là non posso escluderlo»
 
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