Davide Bramati, l’emozione di correre in ammiraglia

Davide Bramati, l’emozione di correre in ammiraglia
di Francesca Monzone
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Venerdì 18 Maggio 2018, 22:08

Davide Bramati è il direttore sportivo della Quick Step Floors, la squadra che corre nel vento e che domina il pavè delle classiche. Ha un passato da corridore professionista, Bramati, e viene  considerato uno dei migliori tecnici a livello mondiale. In macchina, sull’ammiraglia, guida i suoi corridori verso la vittoria e la vittoria di uno diventa la vittoria di tutti perché in questa squadra quando un corridore vince lo fa perché dietro un’intera team ha lavorato con sinergia.

La sua è stata una carriera molto lunga, 16 anni da professionista. Che ruolo aveva in squadra e chi sono stati i suoi capitani?
“Ho avuto una carriera molto lunga e la fortuna di correre in squadre importanti. Avevo caratteristiche di passista e per questo ho fatto parte di molte squadre che hanno partecipato a grandi giri. Ricordo con piacere i tempi con Pavel Tonkov e gli anni in Mapei nei quali si è poi cementata un’amicizia importante anche con Bettini, per me più di un compagno”.


Lei ha corso 24 grandi giri e in particolare 12 volte ha partecipato al Giro d’Italia. Quale edizione ricorda con più piacere e perché?


“Sicuramente il giro del 1996 quando Tonkov vinse”.





Nel 2003 arriva alla Etixx e corre con questa formazione fino al suo ritiro nel 2006. Come nasce l’idea di rimanere in squadra come direttore sportivo?


“L’idea è stata di Patrick Lefevere e Alvaro Cresi. Quando me lo hanno chiesto non ho esitato un attimo: sceso di sella sono salito in ammiraglia. Per me è stato un grande onore avere questa occasione. Sentivo di poter dare qualcosa. Ricordo ancora la mia prima corsa. Un Giro di svizzera. Esordio con il botto grazie alla vittoria di Tom Boonen. Un giorno indimenticabile”.


Può spiegarci il ruolo del direttore sportivo in una squadra di ciclismo?


“Il ruolo del direttore sportivo è cambiato molto negli ultimi anni grazie allo sviluppo tecnologico e alla crescente dimensione delle squadre. La tecnologia ha creato specializzazione e ora in una corsa come il Giro siamo in 3 direttori sportivi per 8 corridori. Uno ha la responsabilità della tattica di corsa e del rapporto con i corridori, un altro si occupa della preparazione e dello studio delle tappe e il terzo della gestione del personale. Ovviamente in corsa condividiamo le decisioni nei momenti più caldi. Abbiamo un buon gruppo di direttori sportivi, siamo complementari”.





La sua è una grande squadra nella quale hanno corso quasi tutti i più grandi velocisti. Qual è il segreto del vostro successo?


“La squadra ha una grande tradizione con gli sprinter e con atleti in grado di preparare al meglio gli sprint. Fa un po’ parte del nostro Dna. Credo inoltre che lo spirito di squadra sia una delle nostre caratteristiche. Chi vuole fare parte del Wolfpack, questo è il nostro nickname, deve dimostrare un forte attaccamento alla maglia e spirito di sacrificio. In questa squadra tutti hanno la propria occasione, basta essere pazienti. Non è un caso che già 12 corridori abbiano vinto almeno una corsa dall’inizio della stagione. L’esempio di corridori come Gilbert o Alaphilippe che sono pronti ad aiutare i compagni e mettere da parte le loro possibilità di vincere sono un esempio importante per i giovani. La squadra prima di tutto”.


Da direttore sportivo qual è stata la vittoria più bella?


“Non saprei rispondere, le vittorie sono sempre belle. Direi che forse quelle inaspettate sono le più belle. Ad esempio quando Keisse vinse 3 anni fa l’ultima tappa del Giro è stato un grande momento. Ne parlavamo da giorni, ci credevamo e poi la vittoria è arrivata. Un gregario che vince è sempre una grande soddisfazione per la squadra. Quando succede vinciamo un po’ tutti”.


Il Giro 2018 è partito da Israele dove avete corso 3 tappe. Che esperienza è stata? Cosa l’ha colpita di più?


“E’ stata ancora una volta una grande esperienza. L’organizzazione è stata impeccabile, i percorsi interessanti e la tappa nel deserto suggestiva. Mi ha colpito molto la passione per la bicicletta che c’è in questa parte del mondo. Non me lo aspettavo”.


In squadra adesso avete Elia Viviani, il miglior velocista italiano, che vi stando tante soddisfazioni, che corridore è?


“ Elia è un grande atleta. Sapevamo che aveva un grande potenziale, non si diventa campioni olimpici per caso. E’ un lavoratore e un leader. Credo che nella nostra squadra abbia trovato le condizioni ideali per affermarsi come uno dei migliori velocisti del mondo”.


Oggi Elia ha vinto la sua terza tappa al Giro d’Italia, ieri ci sono state molte polemiche perchè non ha vinto in una frazione a lui congeniale, cosa pensa?


“Nel ciclismo come in qualunque altro sport non si può vincere sempre, non tutti i giorni sono uguali. Ieri non era la giornata di Elia oggi lo era. Tutto qui”.


Domani ci sarà lo Zoncolan. Chi potrebbe conquistare questa storica salita?


“Penso Pinot. Mi sembra il corridore con le caratteristiche migliori per questa salita”.





Chi potrebbe vincere questo Giro?


“ Difficile dire chi può vincere il Giro. Mancano ancora tante tappe importanti e poi c’è una crono che potrebbe fare la vera differenza. Ora in maglia rosa c’è Yates, prima con lui c’era Chaves che considero un gran corridore. Penso che alla fine anche Froome e Dumoulin saranno li a lottare. Un altro pretendente è Pinot che si è preparato molto bene. Sulle grandi salite mi aspetto anche cose importanti da Aru e Pozzovivo due scalatori puri che quando è il momento si fanno trovare sempre pronti”.


Anche suo figlio è un ciclista e corre con la squadra under23 della Colpack. Che consigli gli da?


“Tommaso ama la bicicletta è un po’ un vizio di famiglia. Quando sono a casa cerco di andare alle sue corse e mi diverto a vederlo correre. Per me è un orgoglio anche se penso che per lui sarebbe più facile non avere un genitore che lavora nel ciclismo. Quando sono alle corse ci sentiamo e mi racconta le sue giornate. Anche mia moglie partecipa a questa nostra passione familiare e certe volte è proprio lei ad accompagnare Tommaso alle corse. Anche lui come tutti deve trovare la sua strada nella vita e nello sport. Sono sicuro che ci riuscirà anche se non voglio che tralasci la scuola. Lo sport è una parentesi della vita ma non è tutto”.
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