Parigi applaude i giovani attori italiani del Teatro della Pergola: in scena emozioni tra Interno e Esterno

Parigi applaude i giovani attori italiani del Teatro della Pergola: in scena emozioni tra Interno e Esterno
di Katia Ippaso
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Mercoledì 25 Maggio 2022, 17:17

Teoricamente, tutti sono a favore del dialogo. A causa della retorica dilagante, molte parole sono state però uccise dai fatti. Cultura” è una di queste parole. Lo scollamento tra le dichiarazioni fatte in nome della “cultura” e le azioni compiute è talmente profondo da innescare, nel migliore dei casi, feroci dubbi. Ma ci sono delle eccezioni. Ed è importante testimoniarle. Prendiamo la Carta 18/XXI firmata nel 2018 da Marco Giorgetti, direttore del Teatro della Pergola di Firenze, e da Emmanuel Demarcy-Mota, regista e direttore del Théatre de la Ville di Parigi, un documento aperto a cui giorno dopo giorno si aggiunge un nuovo capitolo. L’ultimo movimento della Carta 18/XXI ha preso vita in questi giorni a Parigi, all’interno dell’Espace Cardin del Théatre de la Ville. Una conferenza e una rappresentazione.

«Parafrasando l’ex Presidente della Repubblica francese Sarkozy, che spingeva verso “una cultura del risultato”, noi metteremo invece l’accento sui “risultati della cultura”» ha detto Demarcy-Mota. Dopo aver, quindi, illustrato il disegno che muove quest’alleanza – dove il teatro fa da motore di un rivolgimento culturale a cui partecipano anche le scienze e i movimenti che vanno a definire le questioni di genere, dell’identità plurale e dell’alterità – un pubblico composto prevalentemente da giovani parigini ha assistito alla messa in scena di “Interno-Esterno”, da “Interno” di Maurice Maeterlinck, regia di Charles Chemin, che ha adattato l’opera del grande poeta belga assieme a Sofia Menci e Marco Santi. In scena, i giovani attori dell’Accademia Orazio Costa del Teatro della Pergola di Firenze, che hanno recitato in italiano, francese e inglese.

Cominciamo da loro. Difficilmente si trova una compagine attoriale così giovane e al tempo stesso così sguarnita di quegli artifici recitativi che rendono spesso le accademie prigioni maniache ed egoriferite. Dodici attori capaci di vitalità e presenza, molto poco stereotipati nell’uso della voce e nelle inclinazioni espressive, sono di per sé un fatto. C’è poi il segno registico di Charles Chemin, regista associato del Teatro della Pergola, direttore del programma internazionale del Watermill Center di New York e storico assistente di Bob Wilson, da cui ha ereditato un uso tanto rigoroso quanto affascinante delle luci e del suono. Dentro una scatola elegante che gioca su ombre e proiezioni, formando un disegno grafico che smaterializza porte, finestre e confini del mondo interno/esterno, con una volpe scultorea (solo intravista) a guardia della casa, si svolge un dramma sottile, che solo la poesia può degnamente raccontare.

Si parte dal magnifico testo di Maeterlinck, che colloca un gruppo umano all’esterno di una casa. Come comunicare alla famiglia che è chiusa tra quelle mura la morte della figlia? Come riuscire a dire quello che non si può dire? Mentre questo gruppo (di trapassati?) attende nell’impotenza, misurando i confini impalpabili tra l’anima e le forme, qualcun altro arriva dal lato opposto. Gli altri riescono a entrare nella casa e a dare la notizia. Il resto è silenzio. Ora, Chemin, che a lungo è stato a Firenze per lavorare con gli allievi della scuola della Pergola, deve aver utilizzato il tempo che aveva a disposizione per tirare fuori dai ragazzi le loro verità nascoste, per spingerli a dire ciò che è, appunto, difficile dire. Al testo di Maeterlinck si sono aggiunti così i monologhi degli stessi allievi che riflettono sulla loro condizione di attori, proiettando sé stessi, le proprie aspirazioni, gli ideali, i precoci lutti, avanti e indietro nel tempo. Il risultato è una composizione drammaturgica che si fa intensa partitura fisica. Per quanto a tratti disorganica, la messa in scena mette a fuoco la natura stessa del teatro, la sua fibra fantasmatica, la capacità di penetrare con una lente sottile nei labirinti dell’inconscio, nella profondità dell’essere umano, per carpire quella che il poeta e filosofo latino Lucrezio chiamava «la natura delle cose» (De Rerum Natura).

«Non si vede nell’anima come si vede in questa stanza» fa dire Maeterlinck ad una delle sue impalpabili creature. Ecco, è quello che noi potremmo dire della natura stessa del teatro: «Non si vede nell’anima come si vede in questa stanza creata sul palcoscenico». Senza la presenza di un “frame”, e quindi di uno sguardo esterno, non potremmo ingrandire i dettagli che compongono il quadro della vita interiore. Senza la cornice, non vedremmo nulla. Il passaggio parigino ci ha aiutato a capire meglio la natura sincera, quasi rivoltosa, di questo progetto artistico che parte dai giovani, come recita il titolo del documento, rivolto ai diciottenni del ventunesimo secolo.

Gli accordi bilaterali tra l’Italia e la Francia non sono che la base di un movimento che si allarga a dismisura, coinvolgendo molti altri Paesi tra cui il Portogallo, la Grecia e la Romania. Nell’immediato futuro, sono previsti altri due “nutrimenti terrestri” (come li chiamava André Gide): le “Consultazioni poetiche” affidate ad attori che rispondono alle inquietudini e alle domande di chi partecipa attraverso le parole dei poeti. Venerdì 10 giugno le Consultazioni Poetiche prenderanno vita a Lisbona, al Teatro Nacional D. Maria, nell’ambito della stagione Francia-Portogallo presieduta da Demarcy-Mota, mentre il 18 giugno si terranno nei parchi e nei giardini di Parigi, coinvolgendo 50 artisti europei, tra cui alcuni italiani.