Missiroli, Peano, Gallico: la riscossa degli scrittori ombelicali

Missiroli, Peano, Gallico: la riscossa degli scrittori ombelicali
di Luca Ricci
3 Minuti di Lettura
Venerdì 13 Marzo 2015, 23:12 - Ultimo aggiornamento: 14 Marzo, 11:54
All’indomani della pubblicazione del romanzo inchiesta “Gomorra”, qualcuno pensò bene di bollare tutta la letteratura immediatamente precedente come “ombelicale”.

Una letteratura cioè che- partita dopo la fine delle neoavanguardie e sbocciata in pieno reflusso reaganiano- badava unicamente a raccontare storie piccole, per lo più ambientate nei tinelli di casa. Una sorta di minimalismo all’italiana che, tradendo la vocazione neorealista di tutta la nostra arte, si rifiutava però di raccontare la società, anzi meglio di denunciarne le anomalie.



Ora tre libri appena usciti sembrano dirci che la caccia alle streghe è finita, e la nostra letteratura può esistere anche senza trasformare i suoi autori in pubblici ministeri (di volta in volta sul banco degli imputati, spesso per loschi fini bestselleristi, erano finiti l’amianto, la classe operaia, le organizzazioni criminali, gli scandali di Stato, le tragedie mediatiche tipo quella di Alfredo Rampi e il pozzo di Vermicino).



“Atti osceni in luogo privato” di Marco Missiroli (Feltrinelli, pag. 249, 16,00 €), è un classico romanzo di formazione- nonostante si cerchi di venderlo come un libro scandaloso (siamo lontani dal Roth de Il teatro di Sabbath). Libero, il protagonista, cresce attraverso il sesso finché un bel giorno non scopre che, come il più bieco dei sentimentali, il corpo è solo l’inizio di una relazione. L’originalità sta tutta nello stile, allegro e leggero, con cui sono raccontate le vicende. Sentite come suona bene l’incipit: “Avevo dodici anni e un mese, mamma riempiva i piatti di cappelletti e raccontava di come l’utero sia il principio della modernità”.



“L’invenzione della madre” esordio di Marco Peano (minimum fax, pag. 252, 14,00 €) gioca con coppie archetipiche e infallibili: figlio e madre, vita e morte, ricordo e oblio, esperienza e letteratura. In una narrazione volutamente piana- si direbbe quasi che una lingua così controllata e pulita sia il tentativo estremo di anestetizzare il dolore- c’è spazio solo per un figlio che si rapporta alla madre prima, durante e dopo la morte di lei. E’ come una corrida intimistica, il libro di Peano, dove toro e torero si cambiano le parti e su tutto incombe sempre, specie quando non viene nominata, la morte.



“Final Cut” di Vins Gallico (Fandango, pag. 219, 15,00 €, in libreria dal 26 marzo) ruota tutto intorno a una trovata: il protagonista fonda la Final Cut s.r.l. che si occupa di gestire le separazioni di coppia, a cominciare dalla restituzione degli oggetti nel momento in cui due persone si lasciano. A partire da questa idea, un poco esteriore, la scrittura si cala come una sonda nelle profondità dell’amore ai tempi della fine dell’amore (o almeno del romanticismo). Nessun manifesto programmatico, ma intimità e dinamiche di coppia a bizzeffe, a metà strada tra “In treatment” (quindi un format televisivo) e un buffo conte philosophique pragmatico, intriso di consigli utili su sentimenti & business.



Insomma il Romanzo Sociale- nel frattempo divenuto Romanzo di Denuncia Sociale- non occupa più tutta la scena, e questo è un bene per un semplice motivo: la letteratura può, forse deve sospendere il giudizio, e lasciare che sia il lettore a formularne uno (o più d’uno). Senza dimenticare l’ombra lunga del padre di tutti gli scrittori ombelicali recenti, Antonio Moresco (il suo tinello è nel cosmo, ma tant’è), di cui è appena uscito il mastodontico “Gli increati” (Mondadori, pag. 1013, 30,00 €).



(Twitter: @LuRicci74)