Una vita al servizio del potere nazista: la testimonianza della segretaria di Goebbels

Copertina del libro "Una vita tedesca"
di Sabrina Quartieri
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Domenica 15 Aprile 2018, 15:43 - Ultimo aggiornamento: 17 Aprile, 21:11
Per quasi 70 anni ha tenuto nascosto il suo ingombrante passato. Poi, nel 2013, Brunhilde Pomsel, segretaria e dattilografa al servizio di Joseph Goebbels, ministro della Propaganda del Terzo Reich, consegna “la sua verità” sulla Germania di Adolf Hitler. Il “memoir” diventa un inquietante documentario, oggi riproposto nel libro “Una vita tedesca”, grazie al giornalista Thore D. Hansen. Pubblicato anche in Italia da Rizzoli, con la traduzione di Nicoletta Giacon, il volume è una disarmante e sconvolgente istantanea di dichiarazioni.

Alcune dettate da ricordi svaniti, forse; altre, da una noncurante ostinazione a rimuovere le atrocità finite nell’archivio della memoria della donna al servizio del gerarca nazionalsocialista. Gli anni che tornano protagonisti nelle pagine, sono quelli in cui la Pomsel è impiegata nel cuore del potere del Terzo Reich. Sempre fedelissima ai suoi superiori, questa giovane donna «indifferente e disinteressata da sempre alla politica» (come si definisce lei stessa, quasi a giustificare l’inerzia e il superficiale egoismo di allora), svolge quotidianamente le sue mansioni lavorative senza farsi domande. Volutamente, nonostante i pezzi da battere a macchina provengano dai piani alti del crimine e della propaganda. Per lei, all’epoca, contano solo la carriera, la sicurezza materiale, la tranquillità e la correttezza verso i suoi capi.

Solamente in un passaggio della lunga confessione, la testimone “di ghiaccio” si concede una fugace emozione di paura. Ovvero quando si ritrova con la sua collega a prendere appunti durante il discorso di Goebbels alla nazione, quello del «volete la guerra totale?». Una frase che la turba e che le farà definire il ministro, un uomo che reputava serio e educato, «un nano delirante». Nelle sue memorie, la segretaria che sceglie il cieco senso del dovere e una carriera a occhi chiusi nell’orrore, respinge ogni senso di colpa. D’altronde, spiega la Pomsel riferendosi all’Olocausto, «noi non sapevamo niente». Allo stesso tempo, aggiunge: «Eravamo miopi e indifferenti». Ecco, per lei le sue responsabilità si sintetizzano in una leggerezza. Durante gli ultimi giorni di guerra, quando le truppe sovietiche sono già a Berlino, anziché scegliere di fuggire, Brunhilde resta nel bunker di Goebbels a disposizione del potere. E sarà lei a cucire la bandiera della capitolazione, ricavata da un ammasso di sacchi vuoti. Poi, catturata dai soldati russi, per cinque anni si ritroverà nel campo speciale sovietico n. 2, costruito sull’area che un tempo ospitava Buchenwald, uno dei più grandi luoghi di sterminio nazisti. Per la Pomsel, la sua prigionia è stata un’ingiustizia. «Io non avevo fatto niente - dice la donna - mi limitavo a battere a macchina presso il signor Goebbels». E nel suo bilancio penserà: «Con tutto quello che è successo, tutte le cose spiacevoli, brutte, che ho vissuto, me la sono cavata abbastanza bene. Sono contenta e soddisfatta di me stessa».

Brunhilde non proverà mai un senso di colpa per aver servito il centro nevralgico del Terzo Reich. Poi, dopo quasi 70 anni di silenzio, arriverà la sua sentenza sul nazismo: «È stato tutto un gigantesco crimine». La Pomsel è morta lo scorso anno a Monaco all'età di 106 anni, nella notte del 27 gennaio, il “Giorno della Memoria” delle vittime dell’Olocausto. «Questa storia è un monito a non continuare a guardare da un’altra parte», scrive Hansen pensando a quanto, oggi come allora, l’indifferenza possa mettere in pericolo la democrazia. E aggiunge: «Milioni di Pomsel, che pensano solo ed esclusivamente alla propria carriera, alla propria sicurezza materiale accettando l’ingiustizia sociale e la discriminazione degli altri, costituiscono un solido fondamento per ogni sistema manipolativo e autoritario». Il libro allora diventa un oggetto prezioso: la fissità delle parole scritte favoriscono infatti la riflessione e costringono a fermarsi, in una realtà dove spesso transitiamo indifferenti, schivando i volti delle nefandezze contemporanee, affinché non turbino la nostra personale tranquillità.
 
 
Brunhilde Pomsel in “Una vita tedesca” con Thore D. Hansen (Rizzoli, pagg. 278, euro 20)
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