Silvio Orlando: «I premi? E dire che avevo smesso di fare cinema»

Parla l'attore, 6 riconoscimenti alla carriera nell'ultimo mese, che recita nel film "Ariaferma" e "Il bambino nascosto"

Silvio Orlando: «I premi? E dire che avevo smesso di fare cinema»
di Ilaria Ravarino
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Sabato 30 Ottobre 2021, 08:05 - Ultimo aggiornamento: 08:06

Due David, una Coppa Volpi, 4 nastri d'argento. E 6 premi alla carriera. Tutti ricevuti lo scorso mese: «Forse - riflette Silvio Orlando, 64 anni, un guizzo d'ansia negli occhi - dovrei preoccuparmi. Magari è un segnale». Dopo anni di militanza nel cinema d'autore - Salvatores, Moretti, Virzì, Avati tra gli altri - Orlando sta conoscendo un periodo di felice riscoperta internazionale: negli Stati Uniti con il personaggio del Cardinal Voiello delle serie papali di Paolo Sorrentino (The Young e The New Pope), e in Italia con due film, Ariaferma di Leonardo Di Costanzo - rivelazione alla scorsa Mostra di Venezia - e Il bambino nascosto di Roberto Andò, al cinema dal 3 novembre.

Si sente arrivato?
«Mi sento in un momento strano, a ridosso di un periodo in cui avevo praticamente smesso di fare cinema.

Bisogna tenere duro: un minuto c'è la consacrazione e poi finisce tutto».

Smesso? E Sorrentino?
«Con Paolo l'incontro è arrivato quasi fuori tempo massimo: aveva fatto film con tutti, pure con mia moglie (Maria Laura Rondanini, ndr). Ma quella era tv. Il cinema mi aveva dimenticato».

Si aspettava di avere tanto successo all'estero con una serie?
«Tutti dicevano che Voiello era il personaggio più bello, il che accresceva la mia ansia di rovinarlo. Funziona all'estero perché ha quell'italianità concreta che piace, quella delle grandi personalità con lati oscuri. Non divertente, ma spiritoso».

La tv la guarda?
«Chi l'ha visto? il mercoledì. Ma una delle cose più belle viste in vita mia è la serie israeliana Shtisel».

Gli Stati Uniti: troppo pigro per provare?
«Essere pigro mi ha impedito anche di fare tante schifezze. Provare a fare l'attore in America è come andare a vendere gelati in Groenlandia. I loro soldi li scommettono su altri volti, altri fisici. I nostri li legano al passato».

L'ha sentito Sorrentino per fargli gli auguri (per la corsa alla cinquina degli Oscar, ndr)?
«Pare che porti male. Però l'ultima volta che glieli ho fatti, mentre ero a Sanremo in giuria, La Grande Bellezza ha vinto. Quindi: auguri».

L'incontro più sorprendente della sua carriera?
«Con Toni Servillo, in Ariaferma. Ho scoperto una persona con tempi comici naturali e una forma di goffaggine nella vita di tutti i giorni inaspettata. Per esempio: Toni inciampa spesso».

L'incontro che non ha fatto?
«Marco Bellocchio, Gianni Amelio. Ma se non è successo, ho la sensazione che non succederà».

Torna con Paolo Virzì: che fa?
«Nel suo Siccità ho un piccolo ruolo, sono un carcerato che evade suo malgrado, senza volerlo, uno che ormai non concepisce una vita fuori dal carcere. Ma ha una missione da compiere fuori da là».

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Nel 1988 era nel cast de L'Araba Fenice, su Italia 1 con Moana Pozzi. Che ci faceva?
«Ci sono caduto dentro per caso. A Milano frequentavo Gino e Michele, che erano gli autori del Drive In. Erano a corto di personaggi meridionali: sotto Firenze al tempo non si andava. E quindi mi ritrovai là, ultima ruota del carro: ero quello che registrava la sua parte alle tre del mattino, finché non cacava il cammello».

Prego?
«C'era un cammello in studio ed era previsto che a un certo punto della puntata andasse di corpo. Così, per trasgredire. Si andava avanti a registrare finché non lo faceva».

E Moana?
«Nello sfattume umano che c'era in quel programma, tra ragazze pon pon e veline, lei era la più composta. Con una bellezza e un rigore borghese assoluto, era quella che parlava meglio di tutte. Ogni tanto mangiavamo insieme a mensa».

E poi?
«Poi ci censurarono. Mi chiamò Silvio Berlusconi: voleva salvare qualcosa da L'Araba Fenice per fare un altro programma, Emilio, imbastito da lui. Salvò me, Michele Riondino e Sabina Guzzanti, si figuri. Da ultima ruota del carro divenni quello che era stato a casa di Berlusconi».

E al cinema d'autore come ci è arrivato?
«Mi misero all'interno della squadra, con un contratto in esclusiva. Hanno provato a farmi diventare nazional popolare, ma era un ambiente che non mi piaceva. Più per attitudine umana che per motivi politici. A un certo punto c'è stato l'incontro con Nanni Moretti, che mi vide a teatro e mi volle in Palombella Rossa. Ecco, un record ce l'ho».

Quale?
«Essere l'unico a poter dire di aver lavorato in contemporanea per Nanni Moretti e Silvio Berlusconi».

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