Silvio Orlando: «Il Bambino Nascosto un film che sento molto mio. Vorrei un Nobel per il cinema»

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Silvio Orlando è protagonista de L'Interrogazione del vicedirettore del Messaggero, Alvaro Moretti. Torna al cinema con un intenso ruolo regalatogli da Roberto Andò: è il maestro di pianoforte Gabriele Santoro di Il Bambino Nascosto al cinema dal 3 novembre. "Un thriller da camera: un maestro di piano che fugge al mondo e si nasconde per essere indifferente a tutto e un bambino che abita al piano di sopra ma che è già dentro un meccanismo infernale di camorra - dice Silvio Orlando - si ritrovano incarcerati in una casa nei quartieri popolari di Napoli dove la borghesia convive con la manovalanza di camorra. Andò descrive una Napoli vista dallo spioncino della porta o dalle fessure di una tapparella. Uno sguardo borghese che segna la differenza con chi regala la propria vita ad un destino criminale". Nell'Interrogazione, intervista per oggetti, il mappamondo porta Orlando a scegliere il Brasile, qualcosa in comune con Napoli. "In Brasile c'è tutto: la vita, l'arte, il calcio. Batte la vita lì". Napoli è città raccontata da angolazioni particolari da Andò: "Mi ha coinvolto molto nel suo cinema e scelto angolature di una città che è unica al mondo per come sa nascondersi, per come fa stare insieme in un unico palazzo il camorrista e il borghese". Orlando sceglie il film che gli ha cambiato la vita: Lo Spaventapasseri di Schatzenberg: "Un film del 1973, quando frequentavo i cineforum di Napoli con Fofi e Domenico De Masi. C'era Al Pacino che cercava di disinnescare un Gene Hackman attaccabrighe: io sono così, nella vita cerco di evitare i conflitti". Ed evita anche di fare un film tutto suo: "Scrivere o dirigere un film è come avere una malattia, un'ossessione: una malattia che non ho. Ho ansia, magari, ma non voglio quell'ossessione. A me piace essere guidato dai registi, che mi fanno vibrare il cuore come fece Avati, cui devo la mia Coppa Volpi a Venezia o che mi mandano in ansia come Paolo Sorrentino. A volte neanche capisco dove vogliono andare a parare, dove mi stanno portando. Ed è meglio: il cinema è così". Con Sorrentino e The Young Pope è stato un iconico Cardinal Voiello: tifosissimo del Napoli e gran playmaker vaticano. "Mi ha messo in un contesto mondiale, in una lingua non mia. Con gente da Oscar, che - per me - è un premio onorato di essere finito nelle mani di registi come Fellini e Paolo, non viceversa. E' bello l'Oscar, ma è un premio per l'industria: Ci vorrebbe, invece un Nobel del Cinema: i film non sono la grande narrazione dal Novecento ad oggi?" Ancora un ruolo da insegnante con un bambino: "La scuola e i docenti mi piacciono: sono gli incontri che cambiano la vita, lo fu un prete professore che ci faceva frequentare cineforum al Vomero, per me. Recitare con bambini e giovani debuttanti riporta gli attori all'origine, li fa riscoprire: non puoi usare il mestiere, devi essere vero con loro. Ti rigenera dentro, un'esperienza come quella fatta in questo film di Andò con Giuseppe Pirozzi". Il grande finale dell'intervista con il bis di una battuta da The Young Pope del suo Cardinal Voiello che gli è valsa la popolarità mondiale.