Grande guerra, nel 1914 la tregua natalizia dei fanti

di Franco Marini*
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Venerdì 26 Dicembre 2014, 22:42 - Ultimo aggiornamento: 27 Dicembre, 00:05
A dicembre di cento anni fa la Grande Guerra aveva già ingoiato centinaia di migliaia di vite. In cinque mesi si contarono più vittime che nell’intero conflitto franco-prussiano a cavallo tra 1870 e 1871. La crudele contabilità dice che sul fronte occidentale i francesi avevano perso un milione di uomini tra morti e feriti, i tedeschi 800 mila e gli inglesi 80 mila dei 120 mila del corpo di spedizione inviato in appoggio alla Francia. Cifre simili per russi e austroungarici sul fronte orientale.



La «apocalisse della modernità», come l'ha definita lo storico Emilio Gentile, era iniziata. Aveva fatto la sua comparsa nella storia la guerra totale: per il numero di uomini e mezzi impiegati, per la quantità di risorse naturali necessarie a sfamare gli eserciti, per il coinvolgimento di tutti gli apparati dello Stato e della società, per l’impegno finanziario, per il ruolo degli intellettuali, per il peso della propaganda.

Una manciata di settimane era stata sufficiente ad annullare negli stati maggiori e nelle cancellerie delle nazioni belligeranti l'idea della guerra lampo. Avevano mandato all’assalto le divisioni convinti di riportarle a casa per Natale. Ma le cose erano andate diversamente.



Attacchi e contrattacchi, condotti da eserciti praticamente equivalenti per quantità e armamento, produssero una situazione di stallo. Così, quando sta per concludersi il 1914, sulle terre comprese tra le Alpi e il mare del Nord la guerra di movimento si è mutata in guerra di trincea.



Proprio la trincea diventerà il simbolo del primo conflitto mondiale. Vi sarebbero vissuti e morti, non solo per il fuoco nemico, milioni di soldati nei 51 mesi di ostilità. Come fiumi senza fine, le trincee degli uni e degli altri si stendevano lungo il fronte attraversando boschi e campi, scavalcando colline e sprofondando nei fossati. Racconti, epistolari e letteratura ci hanno trasmesso descrizioni che ricordano i gironi infernali, veri antri di disperazione e disumanizzazione.



In alcuni casi, distavano le une dalle altre una manciata di metri. Tedeschi e francesi come italiani e austroungarici vivevano e morivano dentro questi serpenti scavati nella terra stando così vicini gli uni agli altri da poter ascoltarne le voci. Ed in qualche caso parlarsi.



Avvicinandosi il Natale papa Benedetto XV avviò una delicata azione diplomatica per convincere i governi a far tacere le armi almeno il giorno della nascita del Signore. La proposta del cessate il fuoco, accettata dalla Germania ma respinta da Francia e Russia, non fu accolta. Non era stato possibile, riconobbe Benedetto XV il 24 dicembre del '14, «schiudere, in mezzo a queste tenebre di bellica morte, almeno un raggio, un solo raggio del divin sole della pace».

Ma il 25 dicembre i fucili non spararono. E i nemici uscirono dalle trincee per festeggiare insieme il Natale dividendosi tabacco, alcol, biscotti e per cantare le canzoni della festa. Accadde in molte zone del fronte occidentale.



Spontaneamente. C'è chi ricorda che vennero disputate una mezza dozzina di partite di calcio e la più famosa tra queste, tra sassoni e britannici, terminò con la vittoria dei primi per 3-2. Protagonisti furono i fanti ma i graduati lasciarono fare.

Diverso l'atteggiamento degli alti comandi che, dopo la sorpresa del Natale del '14, impedirono ogni tipo di fraternizzazione. La regola della guerra non prevedeva di restituire all’avversario un volto, un sorriso, una parola e tantomeno poteva accettare che in alcuni giorni, come il Natale, l'odio tacesse. Venne proibita qualsiasi manifestazione non ostile con divieti, controlli e severe punizioni.



Anche se sono comunque sopravvissuti, in mezzo alla barbarie della guerra, tantissimi episodi minimi. Come quello messo in scena da Ermanno Olmi nel suo "Torneranno i prati": il fante napoletano che canta per i compagni "Tu ca non chiagne" e la sua voce commuove anche i soldati austriaci che smettono di sparare per ascoltarlo.



Fatti come quelli del Natale '14 non si ripeterono più. La macchina che macinava migliaia di vittime dell'una e dell'altra parte ogni giorno, che gonfiava le trincee di corpi e di fango spesso non più distinguibili gli uni dall'altro, che imponeva l'abbrutimento per rendere sopportabile l'attesa della morte non poteva consentire nemmeno un "raggio" di umanità.



A guerra conclusa, avrebbe scritto Robert Musil: «Eravamo dei cittadini laboriosi, siamo diventati degli assassini, dei macellai, dei ladri, degli incendiari».

Il Comitato storico scientifico che presiedo, promuovendo le iniziative per ricordare il primo conflitto mondiale, parte certo dall’onore da rendere a tutti i soldati caduti ma cerca di far conoscere, in particolare ai giovani, le atrocità e le terribili distruzioni della guerra totale. Questo nella certezza che una più profonda conoscenza potrà orientare la soluzione dei conflitti verso la ricerca di strumenti negoziali in alternativa alla tragedia della guerra.



* Presidente del Comitato storico scientifico per gli anniversari di interesse nazionale