L'indagine ha coinvolto in tre anni 256 ospedali e 776 cardiologi in Usa, Europa (Italia compresa), Asia e Nuova Zelanda ed è stata svolta su 7.000 pazienti, divisi in due bracci: nel primo i dispositivi erano stati impiantati con modalità tradizionali, nel secondo con la protesi avvolta dalla membrana TyRx, prodotta dalla multinazionale Usa Medtronic, che rilascia per alcuni giorni due antibiotici, rifampicina e minociclina, prima di venire riassorbita dall'organismo. La percentuale di infezioni batteriche è stata abbattuta al 61% se si conteggiano anche i pazienti a bassissimo rischio infettivo, ma arriva fino al 90% per quei pazienti che per condizioni cliniche e altre cause hanno invece un rischio alto.
In Italia per questo tipo di infezioni si spendono 125 milioni di euro l'anno, con un alto rischio per i pazienti, spiega Giuseppe Boriani, direttore Cardiologia Università di Modena e Reggio Emilia: «Le infezioni dei pazienti con un dispositivo elettronico impiantato (Cied) sono un rischio non solo per i pazienti ma anche per i sistemi sanitari in quanto determinano elevatissimi costi legati alla degenza ospedaliera, alla terapia antibiotica prolungata, alla necessita di espiantare il dispositivo e gli elettrocateteri e di reimpiantarlo successivamente.
Pertanto strategie associate a una riduzione del rischio di infezioni costituiscono un buon investimento per i sistemi sanitari».
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