Idrocefalo normoteso, la giusta diagnosi

Idrocefalo normoteso, la giusta diagnosi
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Giovedì 12 Ottobre 2023, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 06:47

Colpisce le persone al di sopra dei 65 anni e i sintomi portano spesso a scambiarlo con la malattia di Parkinson, la demenza senile o l’Alzheimer.

Si tratta, invece, di “idrocefalo normoteso”, caratterizzato da disturbi della marcia, dell’equilibrio (con cadute ripetute), incontinenza urinaria e demenza. La causa è da ricercare nell’eccessiva quantità di liquido cerebrospinale nei ventricoli del cervello, per questo – a differenza delle altre patologie – può essere trattato con un intervento neurochirurgico, relativamente semplice, dopo il quale il paziente guarisce. «Purtroppo si stima come solo il 20% dei pazienti venga riconosciuto e trattato correttamente – spiega Gianpaolo Petrella, neurochirurgo con una vasta esperienza al Gemelli e attualmente al Goretti di Latina – Ogni anno negli Stati Uniti circa 750mila pazienti non vengono trattati correttamente perché vengono scambiati per pazienti affetti da altre patologie neurodegenerative.

Questo comporta non solo un danno al paziente, che è costretto ad assumere farmaci inutili, dannosi e costosi, ma anche ai suoi familiari che si trovano costretti a modificare il proprio stile di vita». C’è anche un aspetto economico da non sottovalutare. «Si valuta che l’intero sistema sanitario ha un danno da quest’errore diagnostico – aggiunge Petrella – Si stima infatti che ogni singolo paziente affetto da Parkinson o Alzheimer arrivi a costare anche 100mila euro l’anno, mentre con il trattamento chirurgico una tantum di questa patologia il costo è di circa 10mila euro». Si tratta, quindi, di una patologia misconosciuta, alla quale il neurochirurgo si dedica invece da molti anni, tra l’altro attraverso lavori pubblicati su autorevoli riviste scientifiche e presentati in consessi internazionali. Gli ultimi ad Amburgo, al congresso mondiale sull’idrocefalo che si è svolto a fine agosto e nel quale sono state illustrate cinque ricerche condotte presso l’ospedale di Latina, anche in collaborazione con il Campus Bio Medico di Roma e l’università di Cambridge.

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