Morti in Italia, decessi tornati ai livelli prima del Covid: i dati Istat

Morti in Italia, decessi tornati ai livelli prima del Covid: i dati Istat
di Luca Cifoni
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Lunedì 22 Gennaio 2024, 06:21
Ritorno alla normalità. O quasi. Mentre resta l'allerta sulle recenti ondate di Covid e influenza (nonostante numeri in calo) i dati sulla mortalità 2023 appena diffusi dall'Istat sembrano indicare il superamento della fase emergenziale iniziata proprio nel 2020: tre anni in cui il numero totale dei decessi si era mantenuto costantemente al di sopra delle 700 mila unità (746 mila in quello dell'esplosione della pandemia). Nei dodici mesi che si sono da poco conclusi il numero complessivo dei morti è invece stimato in circa 654 mila. Ovvero poche migliaia in più dei 645 mila del 2019 ed anche della media 2015-2019 (circa 646 mila).

I FATTORI

Come leggere questa tendenza? Nei prossimi decenni la mortalità nel nostro Paese è destinata ad avere dimensioni sempre più rilevanti, banalmente per l'aumento progressivo della popolazione anziana ed ultra-anziana. Allo stesso tempo i demografi sanno bene che a un picco di mortalità - come quello rilevato nel triennio 2020-2022 - segue di solito un assestamento verso il basso, dovuto proprio alla scomparsa già avvenuta e per così dire anticipata di una quota di persone più fragili. È quello che probabilmente è successo, almeno in parte, l'anno scorso.

Ma ci sono anche altri fattori. In particolare nel 2022 (quando i morti erano stati 713 mila) avevano influito negativamente anche gli eventi climatici estremi ed in particolare l'ondata di caldo, che aveva spinto i decessi nei mesi di luglio e agosto. Un fenomeno che non si è ripetuto lo scorso anno, nel quale la mortalità di quello specifico bimestre è risultata inferiore di oltre 16 mila unità.
L'andamento del 2023 risulta sostanzialmente in linea con quello del 2019 anche a livello territoriale, con la parziale eccezione del Mezzogiorno: i circa 9 mila decessi in più registrati sono attribuibili in larghissima parte alle Regioni meridionali, mentre Nord e Centro replicano quasi esattamente i numeri di quattro anni prima. Si tratta comunque di differenze poco significative.
La discesa della mortalità verso quota 650 mila può risultare sorprendente anche se confrontata con le previsioni di lungo periodo della popolazione elaborata dallo stesso Istat lo scorso autunno, che ipotizzavano - nello scenario mediano - un valore stabilmente sopra le 700 mila unità per tutti gli anni a venire.

Intanto questo dato contribuirà ad attenuare - nel bilancio demografico del 2023 - il calo della popolazione residente a cui siamo abituati da vari anni. E nella stessa direzione potrebbe agire un possibile ampliamento del saldo migratorio, che emerge dai numeri provvisori dei mesi scorsi. Mentre non c'è niente da fare per l'altra componente fondamentale, quella relativa alle nascite: che scenderanno ancora (di almeno 10 mila unità) rispetto al record negativo del 2022.

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GLI IMPATTI

L'andamento di natalità, mortalità e flussi migratori, gioca un ruolo fondamentale anche nella sostenibilità del sistema previdenziale. A giugno di quest'anno la Ragioneria aveva presentato il suo consueto Rapporto sulle tendenze del sistema pensionistico. In quel rapporto il tasso di fecondità (i figli nati per donna) era previsto a 1,27 nel 2022, per salire a 1,45 nel 2040, per poi arrivare a 1,55 nel 2070. Poco più di sei mesi dopo, a fine dicembre, queste stime sono risultate scritte sull'acqua. Il tasso di fecondità è stato rivisto all'1,24 nel 2022, per scendere all'1,34 nel 2040 e all'1,44 nel 2070. Cosa significa? Che in tutto il periodo in Italia ci saranno un milione di nati in meno di quanto stimato e registrato nelle tendenze dei conti pubblici soltanto sei mesi fa. Dunque, per far "quadrare" i conti previdenziali, la Ragioneria, sulla base delle stime Istat, ha rivisto al rialzo, e di molto, il saldo migratorio «che registra un aumento di 2 milioni di persone» nello stesso arco di tempo.
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