Ostia, «Mamma Roma addio», vento di secessione tra clan, telline e onde nere Oggi in edicola sul Messaggero

Ostia, «Mamma Roma addio», vento di secessione tra clan, telline e onde nere Oggi in edicola sul Messaggero
di Simone Canettieri e Mirko Polisano
5 Minuti di Lettura
Sabato 8 Aprile 2017, 10:43 - Ultimo aggiornamento: 9 Aprile, 10:24

Tira aria di secessione ancora una volta, nel X municipio. E magari si inventeranno un cocktail per l’estate - Ostia libre? - per rilanciare con la raccolta firme il sogno indipendentista di un territorio esteso poco meno del Comune di Milano e più popoloso di Padova. Ma sempre più insofferente verso la Capitale. «Oggi, non ci sono, vado a Roma», dice chi abita qui già con l’ansia del viaggio lungo 27 chilometri. Il trenino che porta a Lido centro è considerato, per Legambiente, la peggior tratta d’Italia: forno d’estate, igloo d’inverno, frequenza delle corse su cui non scommettere mai. Se qualcosa va storta sulla via del Mare o sulla Colombo - basta un tamponamento - la giornata prende un’altra piega. L’insofferenza porta una dicitura burocratica: municipio sciolto e commissariamento per Mafia Capitale. «Abbiamo pagato per tutti».

Già così, ce n’è abbastanza per gonfiare le vele del M5S (nel 2016 Virginia Raggi incassò il 44% ed è pronta al bis) e per dire ora basta ce ne andiamo. «Questa volta, al contrario dei due tentativi naufragati, la spinta per il referendum arriva dall’entroterra, da Casal Palocco», informa Ernesto Vetrano, animatore di una battaglia sentita e portavoce di una comunità alla continua e ostinata ricerca di «cose belle». Ecco, bisogna andare molto controvento per cercare «cose belle», che ci sono eccome, in questo lido lungo 18 chilometri. E magari scavare sotto la sabbia, come fanno i pescatori del borghetto, per ritornare a tirare fuori le telline dal canale Mussolini, che non è il libro di Pennacchi, ma il sostentamento di 52 famiglie storiche. «Il duce costruì queste case, con i nomi di chi aveva bonificato l’area, in 55 giorni e 55 notti - ricorda Franco detto Pallettone, ancora tatuata sul braccio da Popeye - possibile che nessuno riesca a capirci?». Forse si parla di secessione - inseguendo la California, cioè Fiumicino autonoma dal ‘92 - per non pensare all’attualità. Ai fatti, che qui hanno la testa dura.

IL POLIZIOTTO
Al primo piano dell’ex Palazzo del Governatorato da quasi diciotto mesi (che diventeranno 24: caso raro) siede Domenico Vulpiani, dirigente della polizia schietto e intuitivo, cresciuto a inseguire le bande dei rossi e dei neri negli anni ‘70, e che adesso, a fine carriera, deve fare i conti con «uffici infiltrati e intimiditi», con l’ombra dei clan Spada e Fasciani che strozzano i commercianti e si ingrassano, che occupano negozi del Comune e li murano per farli diventare appartamenti o palestre. «In una scala da 1 a 10 di criminalità mafiosa - dice Vulpiani - questi clan arrivano a 5, ma non vanno sottovalutati». Per inciso, Vulpiani ha anche a che fare con un porto sequestrato per bancarotta fraudolenta in mano al tribunale e una vicenda di 73 concessioni balneari, con il celeberrimo lungomuro, e poi con i chioschi di Capocotta (dove il corpo della Montesi inaugurò gli scandali italiani proprio oggi sono 64 anni) e Castel Porziano tornati a misure legali. Insomma, l’estate bussa e indagini e burocrazia rischiano di creare un enorme tappo. Con una serie di commissariamenti (politici, giuridici e amministrativi) che si affastellano.

I QUARTIERI–CITTÀ
Nel X municipio insistono dieci quartieri: chic (Axa e Casal Palocco), periferici (Bagnoletto e Dragona), popolari (Acilia e Casal Bernocchi), monumentali (Ostia Antica) e bisognosi di cure, come l’Idroscalo. Che di pasoliniano - al di là del monumento che ricorda l’assassinio di PPP chiuso causa vandali omofobi - conserva ancora tutto. Le baracche abusive, la dignità di chi vi abita, gli sguardi fieri di chi si è inventato anche una radio - Radio IdroSqalo, dirette Facebook ospitate da Franca Vannini - che continua a insistere: «Noi da qui non ce ne andiamo, devono fare di questo posto un borgo storico». L’Idroscalo, che confina con le fabbriche del lusso dove vengono assemblati i grandi yacht, è alla fine di Ostia Nuova. Una cittadina, praticamente, puntellata da palazzoni con mattoncini rossi, raccontata per primo da Claudio Caligari in Amore Tossico. La leggenda narra che gran parte di questi edifici venne occupata in una notte di mezza estate del 1990 durante i mondiali: mentre il Paese si fermava per la semifinale, dietro all’«hijos de puta» di Maradona e al gollaccio di Caniggia, avvenne il blitz. Tutti dentro, e lì stanno ancora adesso. Ma senza servizi, mal collegati, con poche speranze. «A queste ci pensiamo noi», dice Luca Marsella leader Casapound. Fascisti del terzo millennio con una potenza economica che stupisce molti: hanno tappezzato la città di costosi manifesti e 6X3, hanno due sedi e il solito pub. Cultori del marketing politico tipo una Forza Italia vecchia maniera (che ha vissuto il berlusconismo con la faccia paciosa di Davide Bordoni, enfant prodige). E’ un fenomeno da tenere d’occhio, questo di Cdp. Alle ultime comunali arrivò al 2%. Ci saranno anche loro per la corsa al municipio, già in odore di M5S e, chissà, forse di santità: don Franco, parroco di Santa Monica, ha annunciato la candidatura con una lista civica. Ostia intercetta i trend politici prima di Roma come sanno bene Beatrice Lorenzin e Angelo Bonelli, come sapevano Teodoro Buontempo e Marco Pannella (commissario per 100 giorni ai tempi di Tangentopoli, sbocciata grazie alle denunce di Piero Morelli, presidente dei commercianti). Proprio perché è stata sempre il mare di Roma e niente più. Prima nazionalpopolare alta e bassa (dai «Fagottari» di Aldo Fabrizi ai Vitelloni di Fellini sul trampolino del Kursaal) poi romanissima con i «calippo e la biretta». In mezzo gli anni ‘80 di Citti e Tognazzi e si arriva agli sketch di oggi di Er Cipolla e Enrico Brignano. «Ostia? Meglio di Copacabana», dice da sempre Daniele De Rossi, con nonna bagnina. L’aprile di Ostia è l’impertinenza del primo sole, il caffè mattutino in spiaggia al “Curvone”, le reti da beach volley, e un tramonto che «ce lo invidiano in Italia». Inarrivabile per i clan, le mafie e perfino per Roma.

(6-continua)

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