Oscar Wilde, ci sono scandali che rendono più ipocrita un popolo

3 Minuti di Lettura
Mercoledì 22 Agosto 2018, 12:32
A Londra, pena la perdita dell'onore, Wilde non aveva scelta: doveva vendicare la sfrontata provocazione del marchese. D'accordo con il figlio del patrizio, Bosie, come aveva ribattezzato l'amico Alfred (boy e rose ragazzo di rosa), intentò un'incauta e suicida azione legale contro il potente Qweensberry. Ne seguì un processo clamoroso e tempestoso e una condanna esemplare per il querelante: due anni di lavori forzati nel carcere di Reading. Un verdetto che annientò Oscar, segnando l'inizio della fine. L'umiliante prologo a un calvario senza spiragli di salvezza, senza barlumi di speranza. A propiziare la rovina dell'esteta di Dublino fu anche l'irriverente anticonformismo ostentato come un gran pavese e lo spavaldo esibizionismo. Ma la relazione con Alfred fu decisiva a immolare il dramma in tragedia.

Chi era Oscar Wilde? Figlio di un celebre otorinolaringoiatra dublinese che, ad onta dell'aspetto scimmiesco, amava, riamato, le donne, che «cambiava più spesso delle camicie», e di una poetessa spregiudicata e femminista, nacque nella capitale irlandese il 16 ottobre 1854. Studiò in città. Poi, si trasferì a Oxford, Mecca dell'intelligencia accademica britannica, prestigioso, spocchioso, colto vivaio della futura classe dirigente di Sua Maestà. Vi scoprì la Grecia classica (e fu una scoperta sovrana) con il suo estetismo, il pagano edonismo, il culto della bellezza virile e la ricerca della voluttà senza veli e trasparenze, senza veti e patemi, del piacere scevro di interdizioni e censure. L'omosessualità che non solo esclude il peccato, ma rivendica la libertà del maschio di godere e far godere una persona dello stesso sesso.

Nella cittadina universitaria, Oscar fece scelte drastiche. Frequentò anche prostitute e da una avrebbe contratto la sifilide, il mal francese (inglese per i francesi) che, forse, lo porterà alla tomba.
Da Oxford si trasferì a Londra e qui iniziò l'irresistibile ascesa sociale, mondana e letteraria (un po' come D'Annunzio, esule volontario a Roma dalla sua Pescara). Atteggiandosi a Dandy e ad arbitrer elegantiarum, redivivo Petronio, conquistò la metropoli, ligio all'aureo motto da lui coniato: «Nessun uomo ha vero successo se non ha le donne dalla sua parte, perché le donne governano la società». «Indossava - scrive in una dotta e vivace biografia Francesco Mei - una giacca di velluto orlata di merletti, pantaloni attillati fino al ginocchio di color pulce, lunghe calze di seta nera e scarpini con fibbia. Sulla camicia a largo collo rovesciato, come una specie di décolleté spiccava, annodata alla Lavallière, una grande cravatta floscia di seta verde pallido, contro i bordi del farsetto ricamato. Nelle occasioni ufficiali, l'abbigliamento era completato dalla redingote e dal cappello a cilindro. E, come accessori, portati con aria languida e trascurata, guanti color lavanda e un bastone d'avorio col pomo d'argento». All'occhiello, una gardenia o un garofano ma anche giglio o girasole.

Nel 1881 Oscar diede alle stampe una raccolta di poesie che piacquero alle dame che se lo disputavano nei salotti, sedotte dalla sua scintillante conversazione dagli sconcertanti paradossi, dai deliziosi bon mot, dai giudizi tranchant e mai ovvi, dalle pose coscientemente leziose, dall'icastico e provocatorio anticonformismo. Che nell'Inghilterra, in quell'Inghilterra, codina e prude della regina Vittoria, se non inquietavano e scandalizzavano, attraevano e affascinavano.
© RIPRODUZIONE RISERVATA