Si dovrebbero confessare solo i peccati e quelli della carne non lo sono

di Roberto Gervaso
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Mercoledì 5 Settembre 2018, 08:38 - Ultimo aggiornamento: 13:00
Il marchese di Queensberry, assistito dai migliori avvocati di Londra, decise di vendicarsi raccogliendo prove sull'omosessualità di Wilde. Reclutò un paio di detective che per mesi setacciarono i luoghi più malfamati della capitale inglese, a caccia di nomi, circostanze, indizi che inchiodassero Oscar, dimostrando la fondatezza delle accuse del furibondo patrizio.

Il caso volle che i due segugi entrassero in possesso di un taccuino con le generalità e i recapiti di giovani pederasti e dei loro facoltosi clienti. Scrive Mei: Se Queensberry avesse accusato direttamente Wilde di seduzione e di plagio nei confronti del figlio, l'assunto non sarebbe stato facile da dimostrare, visto che Alfred Douglas, oltre che essere d'accordo con il seduttore, non era certo un giglio di purezza nemmeno prima di conoscere il poeta, e aveva a sua volta molte cose da nascondere. La causa impostata in questo senso avrebbe comunque portato alla condanna di Bosie e di Wilde, gettando altro discredito sul nome di Queensberry e di tutta la famiglia. Fra padre e figlio venne dunque a crearsi, sia pure per ragioni diverse, una sorta d'involontaria omertà nell'affrettare la rovina di Wilde
Il 3 aprile 1994 Oscar si presentò in tribunale nelle vesti di querelante insieme con Alfred e il fratello di costui. L'aula dove si svolgeva il dibattimento era affollatissima e quando Wilde, elegante e sicuro di sé, ne varcò la soglia, il pubblico concentrò su di lui tutta la curiosità.

Il processo si annunciava piccante e tempestoso, vista la notorietà degli attori. Prima parlò l'avvocato di Oscar cercando di dimostrare che l'accusa era assolutamente falsa, per cui il padre di Bosie andava condannato. Fu poi la volta del difensore del marchese che puntò il dito contro il cinico epicureismo del commediografo. Ma il clou della sua filippica fu quando documentò i rapporti immorali di Wilde con un cameriere, con un giovane impiegato di una casa editrice e con un giornalaio di diciotto anni.
Oscar si difese adducendo il suo interesse di artista per gli ambienti popolari (un Pasolini ante litteram), ma quando l'accusatore, pezze d'appoggio alla mano, documentò in modo inoppugnabile le sue affermazioni fu chiaro che l'irlandese era gay e mentiva. Più di una volta, alle domande di Carson, l'avvocato di Queensberry, Oscar rispose con motti di spirito che esilararono la platea, ma non lo scagionarono.
Quando il legale gli chiese se rispondesse a verità che ai giovani invitati nella camera d'albergo del Savoy avesse offerto del whisky e dello champagne ghiacciato, rispose: Quale gentiluomo lesinerebbe qualcosa ai suoi ospiti? Lo champagne ghiacciato è una delle mie bevande preferite. Contro l'espresso ordine del mio medico.
Carson rincarò la dose, alludendo (ma anche di questo aveva le prove) a convegni galanti del commediografo con valletti, stallieri, ricattatori incontrati in stanze mal illuminate, protette da pesanti tendaggi, mature di profumi inebrianti.
Le cose si mettevano male e il difensore di Wilde propose al suo assistito di ritirare la querela. Era ormai chiaro che l'irlandese non si atteggiava a sodomita: lo era. Una resa incondizionata per salvare il salvabile, ma anche un cocente smacco. L'accusatore diventava imputato, rischiando l'arresto. Sarebbe potuto fuggire, come li consigliava il legale, ma sarebbe stata una scelta pusillanime, che avrebbe vieppiù pregiudicato la già scossa reputazione del poeta. Si chiuse in albergo e non volle ricevere nessuno. Suo malgrado, dovette fare un'eccezione per i due agenti in borghese venuti ad arrestarlo: Abbiamo un mandato di cattura per voi, signor Wilde, su accusa di avere commesso azioni immorali.
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