La musica sulla spiaggia: i cellulari dei figli e l'hi-fi dei padri

di Pietro Piovani
2 Minuti di Lettura
Mercoledì 6 Agosto 2014, 23:18 - Ultimo aggiornamento: 7 Agosto, 00:31
Avrei accettato volentieri la profezia Maya solo se i primi a morire fossero stati quelli che in spiaggia mettono musica house dal cellulare

@diegoilmaestro




Il padre osserva il figlio e non lo capisce. Lo vede in compagnia degli amici, tutti seduti in cerchio intorno a un tavolino, in un bar vicino alla spiaggia, a Marina di San Nicola. Al centro del cerchio c'è un cellulare. Quei ragazzi, attirati dal telefonino come da una calamita, stanno ascoltando musica. Non c'è nulla di strano nel vedere un gruppo di adolescenti che ascolta la musica, i ragazzi lo fanno da sempre, generazione dopo generazione, e lo faceva a suo tempo anche quel padre che oggi guarda e non capisce. Il fatto è che lui, a sedici anni, non avrebbe mai ascoltato la musica da un aggeggio del genere. All'epoca i ragazzi gareggiavano nell'esibire le casse più potenti, gli amplificatori più moderni e sofisticati. Il culto dell'alta fedeltà era anche una questione di status, certo, una stupida vanità da adolescente, ma resta il fatto che la musica allora si ascoltava come si deve, con un'enorme attenzione alla qualità del suono. Magari si esagerava con il volume, ma almeno si dimostrava di dare importanza alle note. E adesso? Ora che i ragazzi hanno a disposizione tutta la musica del mondo, praticamente gratis, senza dover neanche entrare in un negozio per acquistare un disco, e oltretutto possono contare sulla qualità della riproduzione digitale, insomma proprio ora che potrebbero vivere nel paradiso della musica hi-fi, questi strani giovani di oggi non si interessano affatto di watt e di stereofonia e si riducono invece ad allungare le orecchie per captare le pernacchiette di un telefonino. «Non tutto quello che viene dopo è progresso», pensa tra sé il padre ricordandosi di una frase letta a sedici anni sui Promessi sposi.



Più tardi, guardando una vecchia foto, il figlio vede il padre come era da ragazzo. In spiaggia, in costume da bagno, su una spalla un gigantesco stereo portatile. «Lo chiamavamo “bambinello”». Il figlio osserva il padre, non lo capisce e scoppia a ridere.



pietro.piovani@ilmessaggero.it