Acilia, «Paolo Corelli ucciso per una rissa con chi gioca a fare il boss»

La versione degli amici: «L’hanno ammazzato per niente, un’infamità»

«Paolo Corelli ucciso per una rissa con chi gioca a fare il boss»
di Camilla Mozzetti
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Sabato 19 Febbraio 2022, 09:53 - Ultimo aggiornamento: 7 Ottobre, 16:11

«Hanno fatto un’infamità, l’hanno ammazzato per niente, dei fanatici che non contano nulla». Chi conosceva da vicino Paolo Corelli, il commesso di un supermercato di Fiumicino, freddato con tre colpi di revolver all’alba del 14 febbraio nel popolare e malfamato quartiere di San Giorgio ad Acilia, non ha dubbi: «Chi ha premuto il grilletto ha visto solo tanta tv». 


A indagare sul caso sono i carabinieri del Nucleo investigativo di Ostia che hanno sequestrato il cellulare della vittima e acquisito i risultati dell’autopsia, compiuta nei giorni scorsi al policlinico di Tor Vergata: tre colpi hanno raggiunto il 48enne alla schiena e al torace uccidendolo all'istante.

Dal suo cellulare potrebbero emergere delle risposte utili per chiarire il movente del delitto su cui i militari stanno lavorando ininterrottamente. La vita del salumiere è sotto la lente di ingrandimento, al setaccio i conti bancari, le conoscenze, i rapporti al fine di cristallizzare ogni angolo della sua esistenza per poter dire con certezza chi l’ha ammazzato e perché. Ma nel quartiere c’è già chi ha le idee chiare: «Lei le conosce le dinamiche di borgata? Quante storie ha sentito per un parcheggio? Per uno sguardo sbagliato?».


«LA DROGA NON C’ENTRA»
E dunque la droga non c’entra? «No» risponde chi Paolo lo conosce da molto tempo e ammette che sì, il fratello Claudio è ai domiciliari perché trovato nel giugno scorso con oltre tre etti di cocaina nell’auto ma «Paolo no, Paolo era diverso, 30 anni di contributi e sì le conoscenze sono quelle» ma le mani sporche lui non le aveva, almeno formalmente perché Paolo Corelli è comunque morto da incensurato. E allora cosa è successo? «“Pane e Gomorra”, così è cresciuto chi l’ha ammazzato, una discussione per futili motivi» con uomini del quartieri che si credono criminali acclarati ma che tutt’al più alzano una giornata a vendere ventini di coca. «Paolo va rispettato, ha perso la vita per aver dato un destro in faccia a qualcuno che si crede chissà chi, siamo tutti schifati», prosegue la fonte che chiede l’anonimato.

La vicenda in sostanza sarebbe questa: a San Giorgio lo spaccio, il traffico di droga e il degrado sono ormai diventati dei tratti somatici e molti che qui ci crescono scelgono la via più facile per andare avanti: annidarsi dentro a quel groviglio di illegalità che pare normale piuttosto che provare a cambiare il passo. Ma pure per diventare un “boss” la strada è in salita e dunque che c’è chi criminale crede solo di esserlo dentro i confini, pure protetti, di un quartiere difficile millantando “gesta” che non gli appartengono. E così una “banda” o un “gruppo” avrebbe preso di mira Paolo che comunque ha un fratello ai domiciliari per droga e un padre con precedenti, screzi da borgata malfamata culminati, all’ennesima provocazione, con un cazzotto sferrato dalla vittima ad uno degli appartamenti del gruppo che spadroneggia nel quartiere credendosi un boss senza esserlo. Da qui la risposta di “fuoco” «per le manie di grandezza o per l’eccesso di insicurezza». Al momento la ricostruzione rientra tra le ipotesi dei carabinieri che non escludono tuttavia un regolamento di conti per questioni più “serie”, traffico di droga in primis.

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Di certo, se si dovesse poi accertare che l’omicidio è maturato per futili motivi all’interno di un ambiente deviato ci sarebbe da che meravigliarsi. Gli omicidi di mala sono in un certo qual modo fisiologici, quelli che però vengono compiuti da chi si veste da criminale senza esserlo aprirebbero senz’altro uno scenario più inquietante.
 

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