Fase 2, la Regione alle aziende: avanti con il lavoro da casa anche dopo il 4 maggio

Fase 2, la Regione alle aziende: avanti con il lavoro da casa anche dopo il 4 maggio
di Francesco Pacifico
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Domenica 19 Aprile 2020, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 08:50

Anche la “Fase 2”, come quella “1”, sarà all’insegna dello smart working. È questo uno dei principi cardine che la Regione vuole inserire nel suo piano “Lazio Sicuro”. Cioè i decaloghi con le prescrizioni igienico-sanitarie che saranno pronti entro mercoledì prossimo e che dovranno rispettare le imprese per riaprire. In poche parole, il messaggio è «far lavorare da casa i dipendenti» quando e dove è possibile nel periodo che vedrà le prime ripartenze, se - come sembra - il governo allenterà il lockdown dal prossimo 4 maggio. Non un semplice “consiglio”, ma un’indicazione che la giunta Zingaretti vorrebbe far diventare anche un obbligo. Imprescindibile come l’uso delle mascherine e il distanziamento.

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Informalmente, dagli uffici di via Cristoforo Colombo è stato già fatto sapere alle associazioni degli industriali, a quelle degli artigiani e del commercio che, «con la ripresa delle attività, e dove si potrà, si dovrà continuare a far lavorare in smart working i propri dipendenti». E se tra le categorie c’è voglia di riaprire quanto prima possibile, questo progetto non pare difficile da realizzare in un tessuto economico come quello di Roma e provincia, dove il 70 per cento delle aziende è impegnata nei servizi, nel terziario. Quindi destinate ad attività di gestione e di progettazione, e non legate per forza alle catene di montaggio. Senza contare che questa direzione garantirebbe benefici non soltanto in termini sanitari, limitando i contagi: intanto, permetterebbe una Fase 2 meno caotica. Si pensi soltanto al traffico automobilistico e alla necessità di evitare assembramenti sugli autobus. E poi verrebbe incontro a tutti quei genitori che, con le scuole chiuse fino a settembre, non sanno dove mandare i loro figli.

INVITI E PRESCRIZIONI 
Come detto, siamo ancora agli inviti, ma nelle intenzioni della Regione lo smart working dovrebbe diventare un obbligo. In quest’ottica il Lazio sta facendo pressioni sulla cabina di regia tra governo ed enti locali per inserire il principio tra le prescrizioni nazionali dell’ordinanza di fine aprile, che dovrebbe superare il lock-down. In ogni caso, nei decaloghi destinati alle varie attività che la giunta Zingaretti sta scrivendo con un pool di epidemiologi e di alcuni esperti di medicina del lavoro, verrà messo nero su bianco che, dove si può, bisogna mantenere il lavoro agile. Senza contare che si andrà in questa direzione, anche perché le nuove regole sanitarie imporranno, per esempio, distanziamenti molto stringenti negli uffici, riduzioni degli spazi disponibili e l’uso di barriere semoventi tra le varie postazioni. Misure che - gioco forza - spingeranno a tenere a casa i propri dipendenti.

Questo aspetto - l’obbligatorietà o meno dello smart working e per quali categorie - sarà risolto a breve all’interno della commissione tecnico sanitaria, che entro mercoledì consegnerà le prescrizioni dei decaloghi. Parallelamente, la Regione ha già deciso di incentivare il mantenimento del lavoro a casa. Da un lato, si stanno studiando nuovi bonus economici, dopo lo stanziamento nel pacchetto “Lazio riparte” di 7.500 per le aziende e di 22mila euro per i piccoli Comuni che introducono questo tipo di operatività. Dall’altro “Lazio Lab” - la commissione di economisti e di sanitari chiamata da Nicola Zingaretti per indicare modelli e soluzioni per la ripresa - sta valutando come rafforzare la connessione a banda larga nel territorio laziale.

Una road map di massima per far ripartire l’economia, Zingaretti e i suoi, l’avrebbero già ipotizzata, dando priorità alla riapertura delle fabbriche, seguite dal mondo dell’edilizia e infine da artigiani e commercianti, con i ristoranti a chiudere questa lista. Ieri il governatore del Lazio, in videocollegamento con gli altri presidenti durante la conferenza delle Regioni, ha stigmatizzato la possibilità di «riaperture a macchia di leopardo» e avrebbe chiesto al governo di prevedere per ogni categoria il tempo necessario per rialzare la saracinesca. Un riferimento esplicito a quanto il Lazio avrebbe seguito con le librerie, quando si è deciso di prorogare la loro chiusura perché non tutte erano pronte.

Stessa cautela l’avrebbe mostrata anche Virginia Raggi, intervenendo ieri alla cabina di regia tra governo ed enti locali. In collegamento c’erano anche il premier Giuseppe Conte e il ministro per le Autonomie e gli affari Regionali, Francesco Boccia. Sulle riaperture il Campidoglio seguirebbe una road map non differente da quella di Zingaretti: priorità a imprese e cantieri, quindi a uffici e negozi. La sindaca, all’incontro di ieri, avrebbe poi ripetuto posizioni e proposte già annunciate in passato: risorse per quei settori che andranno rafforzati come il trasporto pubblico locale perché servono nuovi bus, più uomini alla Polizia locale per i controlli, maggiori poteri ai sindaci, sul modello ponte Morandi a Genova, per realizzare gli investimenti e la possibilità di spendere le riserve in bilancio, congelate dal patto di stabilità. Infine ha richiamato l’esecutivo sulle difficoltà dei commercianti, che devono pagare affitti molto alti.

 

 
 
 

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