Il “padre padrone” a Roma. «Vattene da tua madre che tanto l'ammazzo, ti uccido»: 21 anni di violenze e minacce a moglie e figli

L'uomo relegava in casa i tre figli con la scusa dello Shabbat: ora è a processo

Il “padre padrone” a Roma. «Vattene da tua madre che tanto l'ammazzo, ti uccido»: 21 anni di violenze e minacce a moglie e figli
di Valeria Di Corrado
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Martedì 11 Aprile 2023, 06:49 - Ultimo aggiornamento: 12 Aprile, 08:48

In casa vigeva un regime di terrore e persino la religione ebraica veniva strumentalizzata dal "padre padrone" per vessare la moglie e i figli. È questa la ricostruzione accusatoria che ha portato a processo D.D.V. per maltrattamenti in famiglia davanti al Tribunale di Roma. Le «condotte prevaricatrici, le violenze, le ingiurie e le minacce» del 50enne, nato in Israele ma residente nella Capitale, si sarebbero protratte per ben 21 anni: dal 1997 al 2018.
ORTODOSSO PER SFREGIO
Dopo la nascita del primogenito, l'uomo obbligava i suoi familiari, «al solo fine di controllarli e non perché ispirato da sincero sentimento religioso - si legge nel capo di imputazione -, a rispettare in maniera ferrea lo Shabbat, impedendo loro in occasione del sabato e di altre festività ebraiche di usare il telefono, di uscire di casa, di guardare la televisione, in contraddizione con il fatto che lui stesso si recava al lavoro, e di seguire un regime alimentare rigido».

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Inoltre proibiva ai figli «di partecipare ai consueti incontri con i parenti materni in occasione di festività cattoliche, ai matrimoni di alcuni cugini della moglie e alla celebrazione delle nozze d'oro della nonna materna». Se qualcuno si opponeva ai suoi veti, il 50enne diventava una furia e reagiva - stando a quanto ricostruito dalla Procura - con grida e insulti, lanciando suppellettili contro di loro, «scagliando calci e pugni a mobili, porte, pareti».
I maltrattamenti sarebbero consistiti anche nell'imporre ai figli quali attività sportive svolgere e nel rimproverarli, «aggredendoli verbalmente, anche solo per non aver tenuto una postura corretta a tavola o per semplici distrazioni, cagionando loro - si legge nel capo di imputazione - uno stato di terrore». Al punto che la figlia, un giorno, dopo aver fatto cadere un pacco di riso per terra, si era fatta la pipì addosso per paura dei rimproveri del "padre padrone".
Il 17 settembre 2018 sarebbe arrivato al punto di minacciare di morte la moglie e il figlio minore, che gli era stato affidato nell'ambito della causa di separazione: «Vattene da tua madre che tanto l'ammazzo».

Poi, rivolgendosi al ragazzino, gli avrebbe detto: «Ti uccido», «non farti più vedere per tutta la vita», accusando di ingratitudine.

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GELOSIA FOLLE
Le presunte vessazioni nei confronti della moglie sarebbero cominciate già nel 1997, «con manifestazioni costanti ed esasperanti di gelosia, sottoponendola al controllo del telefono e delle buste paga», spiega nell'atto d'accusa il pm titolare dell'indagine, Stefano Pizza. Il controllo del cellulare serviva per scoprire se comunicasse con altri uomini; quello delle buste paga per capire se eventualmente avesse usufruito di giorni di ferie senza comunicarglielo. Inoltre il marito le impediva di uscire con le amiche e le colleghe, «per il sospetto che questi fossero pretesti per incontrare amanti». La obbligava anche «a un abbigliamento rispettoso dei propri canoni di "moralità", quali gonne non troppo corte e scollature poco pronunciate; incolpandola - si legge nel capo di imputazione - di provocare l'attenzione di soggetti maschili con il suo abbigliamento e il suo modo di fare».
Quando, nell'ottobre del 2014, la donna - stanca ed esasperata per questa vita - aveva deciso di chiedere la separazione, l'imputato aveva reagito «in maniera furibonda, scagliando con violenza un pugno contro una parete di casa». E, dopo che era stato allontanato dal giudice dall'abitazione coniugale, aveva iniziato a tempestarla di telefonata ed email minacciose: «Te la faccio pagare, se vado a fondo io vieni anche tu», le diceva per indurla a tornare sui suoi passi.
Se il Tribunale dovesse ritenere fondata questa ricostruzione, il 50enne rischia di essere condannato a una pena compresa tra i 3 e i 7 anni di reclusione.

 

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