Teresa, la mamma del ragazzo dai pantaloni rosa:
è come se mio figlio fosse morto un'altra volta

Teresa, la mamma del ragazzo dai pantaloni rosa: è come se mio figlio fosse morto un'altra volta
di Laura Bogliolo
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Lunedì 28 Ottobre 2013, 00:33 - Ultimo aggiornamento: 13:09

Teresa Manes, ieri un altro suicidio. A novembre suo figlio si ucciso, vittima di bullismo e omofobia, definito come il ragazzo dai pantaloni rosa.
«Provo un profondo senso di disperazione, non c’è una coscienza sociale verso chi è gay o verso chi semplicemente soffre di un disagio: i ragazzini insultano senza sapere che le parole sono coltelli che possono uccidere, così come è successo a mio figlio Andrea, aveva solo 15 anni. Nessuna mamma prima di addormentarsi, pensando al futuro del figlio può mai immaginare che un giorno si toglierà la vita. Il mio è un appello disperato alle scuole e ai legislatori affinché sensibilizzino i giovani contro omofobia e bullismo».

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Cosa dovrebbero fare le scuole?
«Attivare campagne di prevenzione, aprire sportelli d’ascolto perché la famiglia non è sufficiente: Andrea trascorreva sette ore fuori casa, come potevo anche solo intuire quale dramma stesse vivendo? Ho saputo che lo chiamavano il ragazzo dai pantaloni rosa solo il giorno dei funerali. Non è possibile che gli insegnanti della sua scuola, il liceo Cavour, non sapessero. Ci vuole una rete di controllo e di ascolto ma anche pene severe».

Ossia?
«C’è un deserto normativo sul bullismo, un fenomeno strisciante e silenzioso che uccide. Servono pene severe, solo così si può comprendere il grave danno che si provoca, il buio che può nascere dentro».

Controllo maggiore anche sull’uso del web?
«Certo, mio figlio è stato deriso su Facebook e io l’ho saputo solo dopo. Ecco perché sono convinta che le famiglie da sole non possano farcela, devono essere aiutate a comprendere il pericolo del web. Ormai per me è diventata quasi una malattia: cerco di informare le altre mamme, voglio far sapere a tutti quello che ha provato Andrea, il vuoto che si sente. La tragedia di ieri è un’altra sconfitta per me, è stato rivivere la morte di mio figlio, improvvisa, inaspettata. Non ho capito e questo non me lo perdono».

Prova sensi di colpa?
«Sì, non mi sono accorta del disagio che viveva, faceva molto sport, suonava e sembrava andare volentieri a scuola perché voleva incontrare una ragazza della quale era innamorato. E quando chiedevo agli insegnanti se si era integrato mi dicevano sì. Voglio che non accada mai più, a nessun altro ragazzo e per questo ho scritto un libro Andrea, oltre il pantalone rosa. È dedicato ai giovani vittime di bullismo e omofobia: voglio far capire loro che il buio può essere illuminato se si esce da quel silenzio che non è neanche facile da cogliere, perché chi soffre impara presto a nascondere il dolore».

Chi le è stata vicina dopo la tragedia?
«C’è stato il vuoto, solo Don Antonio Mazzi mi ha aiutata. Gli insegnanti, i genitori dei compagni di Andrea sono scomparsi. Lo stesso vuoto che ha provato mio figlio e che non auguro a nessuno».
laura.bogliolo@ilmessaggero.it
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