Roma, gettò il feto nel cassonetto, assolta: per periti il piccolo non sarebbe sopravvissuto

Roma, gettò il feto nel cassonetto, assolta: per periti il piccolo non sarebbe sopravvissuto
di Riccardo Di Vanna
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Giovedì 24 Settembre 2015, 06:23 - Ultimo aggiornamento: 23:02
IL PROCESSO

Partorì in casa e poi, dopo aver girato per quasi 20 ore con il neonato chiuso in una busta di plastica, lo gettò in un cassonetto sistemato giusto dietro al reparto di ginecologia dell'Ospedale San Camillo. Un gesto assurdo, per il quale Marika Severini, venticinquenne che per mesi era riuscita a nascondere la gravidanza ai familiari, è stata però assolta dall'accusa di omicidio volontario e occultamento di cadavere dai giudici della terza sezione della Corte d'Assise di Roma. Secondo i magistrati, infatti, «il fatto» contestato alla giovane «non sussiste». Per conoscere le motivazioni della sentenza bisognerà attendere novanta giorni, ma la Corte sembrerebbe aver accettato la tesi difensiva secondo cui il piccolo sarebbe nato già morto.

La tragica vicenda risale al mese di marzo del 2013 quando, dopo aver lasciato la casa dei genitori ed essersi trasferita in quella della sorella, alla Magliana, l'imputata dà alla luce il figlio concepito con uomo con il quale aveva avuto una breve relazione. A raccontare l'agghiacciante giornata cominciata con le doglie e finita al pronto soccorso dello stesso San Camillo è proprio lei, ascoltata dagli agenti del commissariato Monteverde, dopo essere stata segnalata dagli stessi operatori dell'ospedale sulla Gianicolense.



Stando alla ricostruzione, la donna, convinta che il bambino fosse nato morto e completamente in balia degli eventi, avrebbe messo il piccolo in una busta della spesa e, avendo partorito intorno alle cinque del mattino, si sarebbe poi addormentata.



Una volta sveglia, disse agli inquirenti, sarebbe prima andata a casa del padre e poi, dopo essersi cambiata, avrebbe raggiunto un'amica. Incontro, quest'ultimo, sottolinea l'avvocato difensore dell'imputata, che sarebbe avvenuto perché la ragazza avrebbe cercato una sorta di conforto per quanto accaduto, spinta dalla necessità di parlare del tragico evento.

IL RACCONTO

Un argomento che comunque la giovane non sarebbe riuscita ad affrontare nemmeno con l'amica. A questo punto, la Severini, sarebbe salita su un autobus e, una volta entrata al San Camillo - a tarda sera - raccontò ai sanitari di aver partorito da poche ore un bambino già morto indicando il luogo nel quale si era disfatta del corpicino. «Il bambino è nato in stato di grave sofferenza fetale per un distacco della placenta avvenuto già nell'utero - ha dichiarato l'avvocato Antonio Iona, difensore dell'imputata - Lo stesso perito nominato dalla Corte ha stabilito che se alla nascita ci sono stati atti respiratori sono stati involontari e non percepibili e che, comunque, anche la chiamata dei soccorsi non avrebbe potuto impedire il decesso». Lo stesso legale ha sottolineato: «La Severini ha sempre urlato la propria innocenza, cosa che poi si è confermata veritiera ed è stata riscontrata dagli accertamenti tecnici». Malgrado la piena assoluzione in primo grado i problemi legati al drammatico gesto non sono ancora terminati. Il tribunale dei minori, dopo aver tolto alla Severini la bambina partorita due anni e mezzo dopo i fatti, dovrà infatti decidere se affidarle nuovamente la piccola, che attualmente si trova in una casa famiglia.